lunedì 17 febbraio 2014

BANCHE, IMPRESE ED ETICA MORALE
Maggio 2012

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, la nebbia nasconde i nostri bei campi e il tempo pazzerello sta creando un paesaggio surreale ed immobile.

E.:   Anche nella finanza è così: una coltre di nebbia e la pioggia autunnale nascondono le buone occasioni e il mondo economico vive in un paesaggio surreale e fermo.

W.: L’altra volta mi parlavi di imprenditori bloccati, oggi mi dici che tutto il mondo è fermo, ma cos’è che realmente ci sta bloccando?

E.:   Mio buon amico, posso solo illustrarti alcune visioni personali, e quindi opinabili: premetto che, fino a quando la popolazione mondiale crescerà, penso che le soluzioni si troveranno anche se con molti scompensi.

W.: Certo, se il PIL non cresce in Europa, cresce  però nei cd. paesi “BRIC” perché lì la popolazione cresce e c’è bisogno di nuovi beni e più servizi, quindi speranza per i nostri imprenditori geniali ce ne sarà sempre.

E.:   Il problema è che la nebbia e la pioggia che ci bloccano altro non sono che la mancanza di etica e di morale, sia tra gli imprenditori, che tra le banche. Se avessimo un comportamento etico, il mondo sarebbe limpido e il cielo azzurro.

W.: Non ti capisco, la maggior parte dei nostri imprenditori sono piccoli, sono famiglie oneste che  lavorano in azienda, il capitalismo familiare è l’ossatura dell’economia del paese.

E.:   È qui che sta il vero problema: l’imprenditore nostrano si comporta con l’azienda - appunto - come un “pater familias”; l’imprenditore nostrano confonde la famiglia con l’impresa ed è piccolo perché vuole rimanere piccolo, perché così non deve distinguere i fatti aziendali da quelli personali, perché se le contraddizioni sono piccole, si risolvono con piccoli aggiustamenti.

W.: Quando mi dici mi stupisce, ma è anche vero che le grandi aziende sono come i grandi campi dei nostri grandi coltivatori, che richiedono macchinari, visione lungimirante e un’ orga-nizzazione strutturata; ma cosa c’entra tutto ciò con l’etica?

E.:   Mio caro amico, quando l’azienda cresce, l’imprenditore dovrebbe condividere le decisioni con altre persone, però nella maggior parte dei casi non vuole, perchè soprattutto non vuol perdere il controllo e soprattutto perdere i flussi di reddito. La ragione è semplice: l’azienda è la sua fonte unica di ricchezza e infatti, invece di investire, l’imprenditore si costruisce il proprio patrimonio personale e invece di comprare macchinari o acquisire altre aziende si compra la villa al mare: quanti imprenditori piccoli si sono comprati ville grandi!!.

W.: Ci sono però le eccezioni: Apollinare Veronesi, fondatore del gruppo Veronesi Mangimi, leader italiano del settore con il marchio “AIA” e con oltre 3 miliardi di fatturato, già nel 1965 scriveva ai figli spiegando loro la differenza tra famiglia e impresa: l'impresa ha un dovere etico di creare un profitto "sano", pagarci sopra le tasse e restituirlo non solo ai soci ma anche agli stakeholders (il territorio, i dipendenti, la scuola locale, favorendo il diffondersi del proprio know-how), mentre la famiglia ha il dovere di far sì che l’azienda mantenga questo obiettivo, perché se l’azienda è sana ed indipendente dai bisogni della famiglia, la famiglia stessa ne trarrà sempre beneficio.

E.:   Queste eccezioni sono - appunto - eccezioni: per l' imprenditore nostrano conta più la famiglia dell'impresa, e questo lo si vede in tutte le aziende padronali piccole e persino in qualche azienda grande: se l’azienda fa utili, l’imprenditore cerca di nasconderli e trasferirli nel proprio patrimonio; se un’azienda va male, l’imprenditore è sempre molto riluttante a rimettere in azienda i capitali della famiglia, anzi, in qualche caso aggrava il dissesto tentando di sottrarre ulteriori beni.

W.: Quindi mi vuoi dire che nelle piccole aziende italiane, l’etica aziendale è subordinata ai bisogni e ai “capricci” della famiglia dell’imprenditore?

E.:   Certo! Sarò pessimista, ma ho visto tanti imprenditori fare scelte aziendali, che poi si sono rivelate deleterie, pur di non perdere privilegi per sé o per i propri familiari.

W.: E con questo vuoi dire che le imprese grandi sono più etiche? E le banche? Cosa mi dici delle banche?  Anch’esse sono imprese, anzi sono tutte grandi imprese, ma sono tutte additate come quelle che adottano un comportamento anti etico per definizione

E.:   Vedi, hai ragione, ma anche le banche rientrano nella visione di Apollinare Veronesi: anche le banche dovrebbero fare un profitto “sano”, invece non lo fanno: le banche vivono e campano sempre più di finanza ed arbitraggi e non si dedicano al loro oggetto sociale, cioè raccogliere denaro dai risparmiatori e prestarlo alle imprese clienti.

W.: Beh, però è una storia che si ripete, perché in passato molte banche hanno fatto profitti vendendo ai propri clienti prodotti derivati il cui unico vantaggio era a favore della banca stessa. Oppure si è preferito finanziare il singolo immobiliarista o l’assicuratore in modo cospicuo e abbondante piuttosto che dare tanti piccoli finanziamenti a tanti piccoli imprenditori, operazione laboriosa e che richiede la visione del banchiere e non del bancario.

E.:   Amico mio, il profitto “sano” si genera con l’etica sia nei comportamenti, sia nelle visioni strategiche: pensa all’ uso della Borsa fatto dal sistema bancario italiano per coprire i propri aumenti di capitale: le banche fanno grandi “battages” pubblicitari per sé e contemporaneamente scoraggiano le imprese clienti ad utilizzare la borsa per raccogliere denaro non supportando né facilitando i loro aumenti di capitale. E’ chiaro che così facendo la Borsa non potrà mai diventare un canale di raccolta di capitale per le aziende italiane.

W.:  Concordo: la Borsa Italiana, che è formata da 283 società quotate, capitalizza circa 350 miliardi di euro; le 19 banche quotate capitalizzano assieme 56 miliardi circa; se a queste si aggiungono le 7 assicurazioni, si ottiene che l’8% delle società sono del settore bancario-assicurativo ma tutte assieme fanno il 25% circa dell’intera capitalizzazione di borsa; addirittura 3 sole società quotate (2 banche e 1 assicurazione), cioè l’1% delle società quotate, fanno il 15% dell’intera Borsa italiana, che peraltro è più molto piccola persino della borsa spagnola.

E.:   E tu così mi hai dimostrato come per far profitti  – profitti “non sani” - le banche usano il denaro dei risparmiatori non solo preso come deposito ma anche come capitale di rischio!

W.: Allora le banche e  le imprese devono convertire la via del vizio in un cammino di redenzione?

E.:   Mio caro amico, non c’è bisogno di scomodare la religione, per ripartire occorre una svolta semplice semplice: le banche devono tornare a fare le banche e gli imprenditori devono guardare all’impresa come uno strumento di creazione di ricchezza non solo per sè ma per gli “stakeholders”.

W.:  Solo che nelle banche sono rimasti in pochi a sapere valutare il merito creditizio di un imprenditore e nelle imprese si è persa la voglia di ricercare il profitto nel medio periodo e si guarda solo agli utili di brevissimo termine.


E.:   Etica e comportamento morale generano fiducia, e la fiducia contempera il rischio. Quindi in un mondo fermo, un comportamento etico può facilitare una ripresa economica molto più di tante cd. “leve finanziarie”. E, nonostante il pessimismo sul piccolo imprenditore, esempi come Apollinare Veronesi dimostrano che anche il codice genetico dell’Italia è ancora sano e la svolta può anche essere imprevedibile!

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