giovedì 20 febbraio 2014

IMPRESE, FINANZA E VENDITE ALLO SCOPERTO
Maggio 2013

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, siamo prossimi al raccolto e i mediatori stanno già lavorando ai fianchi i nostri agricoltori.

E.:   Ormai, i giochi li hanno fatti da tempo, i prezzi sono calanti e nonostante le buone previsioni di raccolto, gli agricoltori si stanno lamentando che ricaveranno ancor meno dell’anno scorso.

W.: Questo è un peccato, perché i nostri mediatori si stanno comportando come i traders di borsa, come finanzieri incalliti, sono dei ribassisti, che è il male dell’Italia.

E.:   Mio buon amico, spiegami queste parole strane e dimmi perché l’attività di mediazione sul grano è il male dell’Italia.

W.:  I ribassisti, sono speculatori che vendono allo scoperto. Sai cosa significa in gergo "shortare"? Significa vendere un qualsiasi titolo (azione, obbligazione, etc.) senza averne il possesso, appunto "allo scoperto" sperando -  più avanti - di  comprarlo – veramente - ma ad un prezzo più basso in modo da consegnarlo a chi l'aveva inizialmente acquistato da loro e tenendosi la differenza come guadagno. Scommettono sul ribasso senza avere il possesso dei titoli. Lo stesso fanno i mediatori quando comprano il raccolto dell'anno successivo.

E.:   Ma questo avviene tutti i giorni: all'apertura dei mercati iniziano le vendite allo scoperto di titoli che si pensano deboli e, prima della chiusura, si ricomprano. E’ una prassi normale su tutti i mercati finanziari. Spiegami perché è un peccato e spiegami perché è un male dell’Italia.

W.: Anima semplice, i ribassisti operano solo sui titoli che sanno che possono andar male, ed operano normalmente sul brevissimo termine, tra l'apertura dei mercati e la chiusura al pomeriggio, e comunque nell'arco di tempo concesso per consegnare i titoli. In qualche caso anche 15 gg. Per usare dei termini “da bar”, sono considerati dei “gufi”, oppure si dice che sono iene e avvoltoi che accelerano la morte della preda.

E.:   Allora, come le iene, hanno una funzione “ecologica”, puliscono il mercato dai cadaveri.

W.: Il problema è che oggi i ribassisti hanno oggi un potere immenso che gli viene dato dalle banche, che li finanziano abbondantemente. Infatti nei momenti di forti tensioni finanziarie, le autorità di Borsa vietano le vendite allo scoperto.

E.:   Ti capisco poco, ma spiegami chi sono questi ribassisti.

W.: I ribassisti, una volta, erano gli agenti di cambio e pochi operatori molto specializzati; oggi invece sono gli hedge funds finanziati dalle banche e le stesse banche che, godendo di crediti enormi presso le altre banche speculano in proprio.

E.:   In effetti è vero quanto mi dici, anche mio figlio, che si è trasferito a Londra a lavorare presso la banca che ha chiuso gli uffici a Milano, mi racconta di finanziamenti enormi concessi a fondi d’investimento che vengono utilizzati per pochi giorni e poi rimborsati a fronte di speculazioni di borsa per ammontari da capogiro!

W.: Mio caro amico, i mercati finanziari non hanno riguardo per nessuno, guardano solo i numeri e purtroppo l’Italia e i suoi imprenditori hanno numeri brutti, quindi è facile scommettere al ribasso.

E.:   Adesso mi fai ricordare che mio figlio mi ha raccontato che la sua banca nel 2011 ha venduto allo scoperto i titoli di stato italiani e molti hedge funds clienti della banca hanno fatto lo stesso, con guadagni enormi. Hanno “shortato” BTP per giorni e giorni, e quando il loro valore è crollato perché molti investitori sono stati presi dal panico, li hanno ricomprati e hanno fatto utili impensabili. Infatti il cd “spread” tra il rendimento dei titoli italiani rispetto ai medesimi titoli tedeschi è schizzato alle stelle. Mi ricordo che era arrivato a superare i 500 basis points.

W.: E con questo mi confermi che l’Italia è un paese di ribassisti, di persone che puntano al peggio, e questo è un male per l’Italia.

E.:   Però adesso la situazione è cambiate, lo spread ha iniziato a contrarsi.

W.: Perché nell’ autunno 2011 sono state avviate alcune contromisure che hanno fermato un possibile crack finanziario del nostro paese: è stato nominato come primo ministro un economista conosciuto in tutto il mondo, le banche italiane hanno sottoscritto in maniera massiccia le emissioni di titoli italiani e il governatore della BCE ha dato loro sostegno. Altrimenti non ti spieghi come la banca più antica del paese ha oggi in portafoglio quasi più titoli di stato che prestiti alle imprese.

E.:   l’ipotesi che mi stai raccontando è suggestiva, ma verosimile. Quindi secondo la tua opinione, a quel punto, i ribassisti hanno smesso di “shortare” l’Italia.

W.: Certo, perché vendere allo scoperto titoli che poi non scendono di valore comporta molte perdite. Ti ricordi che addirittura si pubblicavano annunci di persone che incitavano a comprare BTP? E’ stata come la vittoria nella battaglia di Nicolaevka in Russia dei nostri valorosi alpini, che è servita a poco perché la campagna di Russia è stata una sconfitta pesantissima: infatti dal 2011 assistiamo a crescita dei fallimenti e dei suicidi, PIL che continua a scendere mentre negli altri paesi sale, aziende italiane importanti che vengono vendute agli stranieri, multinazionali che lasciano il paese e chiudono i loro stabilimenti. E’ una guerra, combattuta con altri mezzi.

E.:   Ma quanto può essere addebitato alla nostra classe governante e ai nostri banchieri?

W.:  Molto: i governanti dell’epoca si sono occupati solo di dare un’immagine più solida del paese, ma solo l’immagine, come nelle città di cartapesta che si costruiscono per girare i film western; le banche invece hanno utilizzato il denaro dei risparmiatori per investire in titoli e lo hanno sottratto alle imprese e alle famiglie, hanno tolto ossigeno al sistema, in altre parole hanno “shortato” le imprese. E hanno sbagliato, anche perché non hanno speculato.

E.:   Si narra la leggenda del banchiere John Pierpoint Morgan, che nell’800 con la sua banca prima finanziava alcune imprese, poi chiedeva il rimborso improvviso dei finanziamenti concessi e, visto che gli imprenditori non potevano far fronte, ne rilevava la proprietà a prezzi bassissimi, arricchendosi enormemente. Anche lui “shortava”. Avresti voluto dei J.P Morgan oggi?

W.: Il fatto è che il sistema bancario in molti casi ha ritirato i fidi sapendo coscientemente che le aziende sarebbero saltate. Però non ha fatto niente per riprendersi almeno parte del valore di questo gioco al ribasso. Occorre poi considerare che gli imprenditori italiani non sono ribassisti, almeno non lo erano fino a qualche anno fa, ma sono investitori che – con tutti i loro difetti - gettano il cuore oltre l’ostacolo.

E.:   Beh, il contraltare degli shortisti sono gli investitori di lungo termine.


W.:  E in effetti, mio caro amico il nostro paese ha la fortuna di avere moltissimi investitori di lungo termine, che sono i nostri piccoli imprenditori ed agricoltori. pensa al marchese Incisa della Rocchetta che ha creato negli anni 40 il vino Sassicaia e tutti gli davano del matto e oggi è uno dei più grandi vini italiani! Nel loro DNA c’è una dose di rischio e di guardare lontano superiore a molti altri paesi, e penso che, nonostante le macerie di cui l’Italia  è sommersa, riusciranno a riprendere forza, in barba alla finanza e ai mediatori!

lunedì 17 febbraio 2014

BANCHE, IMPRESE ED ETICA MORALE
Maggio 2012

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, la nebbia nasconde i nostri bei campi e il tempo pazzerello sta creando un paesaggio surreale ed immobile.

E.:   Anche nella finanza è così: una coltre di nebbia e la pioggia autunnale nascondono le buone occasioni e il mondo economico vive in un paesaggio surreale e fermo.

W.: L’altra volta mi parlavi di imprenditori bloccati, oggi mi dici che tutto il mondo è fermo, ma cos’è che realmente ci sta bloccando?

E.:   Mio buon amico, posso solo illustrarti alcune visioni personali, e quindi opinabili: premetto che, fino a quando la popolazione mondiale crescerà, penso che le soluzioni si troveranno anche se con molti scompensi.

W.: Certo, se il PIL non cresce in Europa, cresce  però nei cd. paesi “BRIC” perché lì la popolazione cresce e c’è bisogno di nuovi beni e più servizi, quindi speranza per i nostri imprenditori geniali ce ne sarà sempre.

E.:   Il problema è che la nebbia e la pioggia che ci bloccano altro non sono che la mancanza di etica e di morale, sia tra gli imprenditori, che tra le banche. Se avessimo un comportamento etico, il mondo sarebbe limpido e il cielo azzurro.

W.: Non ti capisco, la maggior parte dei nostri imprenditori sono piccoli, sono famiglie oneste che  lavorano in azienda, il capitalismo familiare è l’ossatura dell’economia del paese.

E.:   È qui che sta il vero problema: l’imprenditore nostrano si comporta con l’azienda - appunto - come un “pater familias”; l’imprenditore nostrano confonde la famiglia con l’impresa ed è piccolo perché vuole rimanere piccolo, perché così non deve distinguere i fatti aziendali da quelli personali, perché se le contraddizioni sono piccole, si risolvono con piccoli aggiustamenti.

W.: Quando mi dici mi stupisce, ma è anche vero che le grandi aziende sono come i grandi campi dei nostri grandi coltivatori, che richiedono macchinari, visione lungimirante e un’ orga-nizzazione strutturata; ma cosa c’entra tutto ciò con l’etica?

E.:   Mio caro amico, quando l’azienda cresce, l’imprenditore dovrebbe condividere le decisioni con altre persone, però nella maggior parte dei casi non vuole, perchè soprattutto non vuol perdere il controllo e soprattutto perdere i flussi di reddito. La ragione è semplice: l’azienda è la sua fonte unica di ricchezza e infatti, invece di investire, l’imprenditore si costruisce il proprio patrimonio personale e invece di comprare macchinari o acquisire altre aziende si compra la villa al mare: quanti imprenditori piccoli si sono comprati ville grandi!!.

W.: Ci sono però le eccezioni: Apollinare Veronesi, fondatore del gruppo Veronesi Mangimi, leader italiano del settore con il marchio “AIA” e con oltre 3 miliardi di fatturato, già nel 1965 scriveva ai figli spiegando loro la differenza tra famiglia e impresa: l'impresa ha un dovere etico di creare un profitto "sano", pagarci sopra le tasse e restituirlo non solo ai soci ma anche agli stakeholders (il territorio, i dipendenti, la scuola locale, favorendo il diffondersi del proprio know-how), mentre la famiglia ha il dovere di far sì che l’azienda mantenga questo obiettivo, perché se l’azienda è sana ed indipendente dai bisogni della famiglia, la famiglia stessa ne trarrà sempre beneficio.

E.:   Queste eccezioni sono - appunto - eccezioni: per l' imprenditore nostrano conta più la famiglia dell'impresa, e questo lo si vede in tutte le aziende padronali piccole e persino in qualche azienda grande: se l’azienda fa utili, l’imprenditore cerca di nasconderli e trasferirli nel proprio patrimonio; se un’azienda va male, l’imprenditore è sempre molto riluttante a rimettere in azienda i capitali della famiglia, anzi, in qualche caso aggrava il dissesto tentando di sottrarre ulteriori beni.

W.: Quindi mi vuoi dire che nelle piccole aziende italiane, l’etica aziendale è subordinata ai bisogni e ai “capricci” della famiglia dell’imprenditore?

E.:   Certo! Sarò pessimista, ma ho visto tanti imprenditori fare scelte aziendali, che poi si sono rivelate deleterie, pur di non perdere privilegi per sé o per i propri familiari.

W.: E con questo vuoi dire che le imprese grandi sono più etiche? E le banche? Cosa mi dici delle banche?  Anch’esse sono imprese, anzi sono tutte grandi imprese, ma sono tutte additate come quelle che adottano un comportamento anti etico per definizione

E.:   Vedi, hai ragione, ma anche le banche rientrano nella visione di Apollinare Veronesi: anche le banche dovrebbero fare un profitto “sano”, invece non lo fanno: le banche vivono e campano sempre più di finanza ed arbitraggi e non si dedicano al loro oggetto sociale, cioè raccogliere denaro dai risparmiatori e prestarlo alle imprese clienti.

W.: Beh, però è una storia che si ripete, perché in passato molte banche hanno fatto profitti vendendo ai propri clienti prodotti derivati il cui unico vantaggio era a favore della banca stessa. Oppure si è preferito finanziare il singolo immobiliarista o l’assicuratore in modo cospicuo e abbondante piuttosto che dare tanti piccoli finanziamenti a tanti piccoli imprenditori, operazione laboriosa e che richiede la visione del banchiere e non del bancario.

E.:   Amico mio, il profitto “sano” si genera con l’etica sia nei comportamenti, sia nelle visioni strategiche: pensa all’ uso della Borsa fatto dal sistema bancario italiano per coprire i propri aumenti di capitale: le banche fanno grandi “battages” pubblicitari per sé e contemporaneamente scoraggiano le imprese clienti ad utilizzare la borsa per raccogliere denaro non supportando né facilitando i loro aumenti di capitale. E’ chiaro che così facendo la Borsa non potrà mai diventare un canale di raccolta di capitale per le aziende italiane.

W.:  Concordo: la Borsa Italiana, che è formata da 283 società quotate, capitalizza circa 350 miliardi di euro; le 19 banche quotate capitalizzano assieme 56 miliardi circa; se a queste si aggiungono le 7 assicurazioni, si ottiene che l’8% delle società sono del settore bancario-assicurativo ma tutte assieme fanno il 25% circa dell’intera capitalizzazione di borsa; addirittura 3 sole società quotate (2 banche e 1 assicurazione), cioè l’1% delle società quotate, fanno il 15% dell’intera Borsa italiana, che peraltro è più molto piccola persino della borsa spagnola.

E.:   E tu così mi hai dimostrato come per far profitti  – profitti “non sani” - le banche usano il denaro dei risparmiatori non solo preso come deposito ma anche come capitale di rischio!

W.: Allora le banche e  le imprese devono convertire la via del vizio in un cammino di redenzione?

E.:   Mio caro amico, non c’è bisogno di scomodare la religione, per ripartire occorre una svolta semplice semplice: le banche devono tornare a fare le banche e gli imprenditori devono guardare all’impresa come uno strumento di creazione di ricchezza non solo per sè ma per gli “stakeholders”.

W.:  Solo che nelle banche sono rimasti in pochi a sapere valutare il merito creditizio di un imprenditore e nelle imprese si è persa la voglia di ricercare il profitto nel medio periodo e si guarda solo agli utili di brevissimo termine.


E.:   Etica e comportamento morale generano fiducia, e la fiducia contempera il rischio. Quindi in un mondo fermo, un comportamento etico può facilitare una ripresa economica molto più di tante cd. “leve finanziarie”. E, nonostante il pessimismo sul piccolo imprenditore, esempi come Apollinare Veronesi dimostrano che anche il codice genetico dell’Italia è ancora sano e la svolta può anche essere imprevedibile!
BANCHE, IMPRESE E CAPITALI
Ottobre 2011

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:  Caro amico, oggi ti vedo un po’ assente, etereo. Spiegami il tuo distacco preoccupato.

E.:   Mi sento in una specie di  limbo da un anno e mezzo. Non siamo finiti all’inferno, ma non siamo in paradiso, e più che in purgatorio, come diceva il poeta, stiamo come le foglie d’autunno sugli alberi: non vedi che da ormai molto tempo i nostri imprenditori stanno fermi al nastro di partenza, presi dai loro timori, con poco coraggio?

W.:  Ce lo siamo già detti tante volte: il sistema bancario ha ridotto gli impieghi, il centro dell’economia si è spostato ad Est e i nostri imprenditori non hanno le dimensioni sufficienti per competere in quelle aree.

E.:   Sì, ma l’Italia ha l’animus dell’imprenditore, è parte del nostro codice genetico, ci siamo inventati le cd “multinazionali tascabili”, eppure, mentre il resto del mondo gira a gran velocità, noi ci muoviamo al rallentatore, come se mancasse non solo l’energia, ma ci fosse un freno tirato. E  secondo me, il freno tirato è la mancanza di capitali: capitali di rischio soprattutto, e mancanza di un sistema vero per raccogliere i capitali di rischio.

W.: Ma non esistono i fondi di private equity, la Borsa con i suoi segmenti STAR, MTA, AIM, le cd. “SPAC”, le “investing companies” i fondi mezzanini? E poi l’Italia non è uno dei paesi a maggior tasso di risparmio?

E.: Certo, è tutto vero, ma proprio nel momento in cui è necessario canalizzare il capitale verso le imprese,  l’Italia sta subendo un effetto che mio figlio - che lavora in una filiale italiana di una banca estera (eterea come il mio spirito attuale)-  definisce di “spiazzamento”: il risparmio viene scientemente convogliato verso due soggetti che sono lo Stato, che deve finanziare il deficit, e le banche, che sono state obbligate a lanciare aumenti di capitale imponenti

W.: La copertura del fabbisogno dello Stato è ormai cosa secolare, finchè non avremo un Quintino Sella o un Giolitti difficilmente torneremo ad essere un paese virtuoso, ma spiegami perché mi parli delle banche, dimmi perché nuocciono alle imprese: non dovrebbe essere il contrario? Banche più solide possono finanziare di più e meglio i propri clienti!

E.: Torna con la memoria alla Tempesta Perfetta del Settembre Rosso 2008, quando una grande banca americana fallì facendo saltare la diga della finanza di carta e della fiducia interbancaria: cosa fecero all’epoca le banche? Chiesero ai loro clienti, in modo forsennato e selvaggio, di rimborsare i finanziamenti in essere e negarono nuovi fidi. Qual è stata la lezione appresa sulla pelle da parte dei nostri imprenditori? Che delle banche non ci si può fidare, che i prestiti vanno presi con molta attenzione e che se occorre avviare una qualche iniziativa, i capitali di rischio, il cd. “equity”, sono l’unico mezzo per essere sereni. Quindi “no equity, no party”!!

W.: Meglio, no? Avremo imprese più solide e meno indebitate.

E.: Non sono d’accordo, caso mai avremo sì imprese più solide, ma avremo anche molte meno imprese, perché l’Italia è sottocapitalizzata, manca l’equity: manca sia nelle aziende familiari, sia nelle aziende di proprietà dei fondi di private equity che le comprano con leve gigantesche; caro amico mio le imprese italiane sono piene di debiti il cui rimborso non consente di fare i nuovi e necessari  investimenti per competere con il resto del mondo.

 W.: Sono sempre i solti discorsi, ma spiegami perché la borsa non funziona per portare i capitali di rischio alle imprese

E.:   Perché la borsa italiana oggi finanzia per oltre due terzi il sistema bancario e  le aziende di Stato; in più abbiamo voluto come paese entrare nel club dei potenti, e chiedere il governo della Banca Centrale Europea, e questa mossa è stata una vera sciagura.

W.:  Non capisco, avere un italiano al vertice della banca centrale significa non solo prestigio ma poter influenzare le decisioni di politica economica e monetaria anche a favore del nostro paese.

E.:  Amico mio, i quarti di nobiltà si pagano da sempre e, come nella Serenissima Repubblica di Venezia, l’iscrizione nel Libro d’Oro ha un prezzo elevato: il prezzo è stato che il sistema bancario ha dovuto dimostrare senza ombra di dubbio di essere forte e solido; in altre parole il prezzo è stato un irrobustimento, secondo me esagerato, della patrimonializzazione delle banche costrette da Bankitalia a lanciare aumenti di capitale a tutto spiano: si parla di oltre 11 miliardi di Euro, una manovra economica!

W.: Hai ragione! A dimostrazione di quanto hai detto e della loro scarsa utilità, una banca belga che aveva un cor tier del 12% è fallita negli scorsi mesi mentre le nostre modeste banche con un cor tier dell’8% sono vive e vegete.

E.:   Inoltre se tieni presente che il risparmio nazionale è stabile, è chiaro che i soldi dati alle banche non potranno andare a sostenere nuove quotazioni e aumenti di capitale del sistema impresa. Invece avrebbero dovuto fare il contrario, perché con imprese clienti più solide il loro rating sarebbe migliorato e di molto.

W.: Ma forse ciò che tu dici sarà vero nel brevissimo termine, però  un sistema bancario solido garantisce stabilità nella gestione del risparmio e che l’economia non si blocchi per cause finanziarie.

E.: Può darsi che nel lungo termine la stabilità finanziaria sia raggiunta, ma nel breve si potrebbe avere una forma di soffocamento delle imprese. Insomma, ne vedremo delle belle: banche solide ed imprese gracili, prede a disposizione degli stranieri o comunque destinate al piccolo cabotaggio.

W.: Ma una delle imprese alimentari italiane del settore lattiero caseario più solide e con più soldi in cassa di tutti i suoi concorrenti è stata comprata da uno straniero, invece, secondo il tuo ragionamento sarebbe dovuto avvenire il contrario.

E.: Considera la proprietà di quell’impresa, fatta solo da investitori istituzionali pronti sempre a rivendere se c’è un profitto e considera il resto del settore alimentare italiano, fatto da imprenditori privati tutti indebitati con le banche. Al momento di creare la cordata nazionale per la difesa del “suolo sacro”, nessuno si è fatto avanti, proprio perché nessuno aveva le finanze necessarie.
 
W.: Insomma, il vero problema che tu vedi è la mancanza di capitale di rischio da parte delle imprese, e il fatto che il sistema finanziario italiano è indirizzato a fornire capitale solo alle banche; ma perdonami, le imprese generano profitti, quindi cash-flow, quindi si creano il loro capitale


E.:   È vero, ma l’Italia oggi ha poche imprese in settori ad alta profittabilità, quindi in Italia si genera troppo poco profitto. Non ci resta che sperare nel codice genetico dell’imprenditore italiano, che, di fronte ad un mondo più difficile, si dia quel colpo di reni che ha sempre contraddistinto il nostro paese in queste occasioni. E la speranza, in questo caso, è quasi una certezza!
BANCHE, IMPRESE E TERRITORIO
Ottobre 2010

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, vedi com’è bella la campagna? Al mondo è successo di tutto, ma i fiori in primavera, e le messi d’estate con la pioggia o con il sole, crescono sempre. Come mai ti sei vestito in giacca e cravatta come un cittadino?

E.:   Perché sono stato all’assemblea dei soci della nostra banca di credito cooperativo. Sai cosa mi hanno detto? Che, sulla base delle statistiche di Bankitalia, il sistema italiano del credito cooperativo equivale alla terza banca italiana e che nel 2009 il volume degli impieghi è aumentato del 6% contro una media nazionale del 2%.

W.:  Quindi vuol dire che il resto del sistema bancario ha ridotto gli impieghi. Ma come ti spieghi tutto ciò?

E.:   Molto semplice, le banche grandi hanno finanziato le imprese quando l’economia girava e poi si sono trovate esposte alla “tempesta perfetta dell’ Ottobre Rosso 2008”; le banche piccole invece, forti di una raccolta solida, avevano nel 2009 riserve di liquidità accumulate da erogare come finanziamenti alle imprese più meritevoli e così hanno fatto. Hanno perciò dato una mano alle imprese medio-piccole nello stesso momento in cui le grandi banche negavano o addirittura revocavano i fidi.

W.: Ma non si diceva che “grande è bello”, che le piccole imprese (e quindi anche le banche piccole) erano destinate a scomparire, che la moda era “think global” etc. etc.?

E.: Su quanto successo nel 2008 e nel 2009 stanno già scrivendo tonnellate di libri e facendo migliaia di analisi statistiche, ma noi siamo qui al bar e vediamo il mondo dal nostro punto di vista.

W.: E’ vero, a me interessa che i miei soldi siano depositati presso chi poi me li restituisce e mi consiglia eventualmente come meglio investirli sapendo che al sabato ci incontriamo in Piazza Maggiore e ci guardiamo negli occhi. Ai nostri amici vicini di casa che fanno gli imprenditori e che hanno bisogno di finanziamenti interessa avere a che fare con una persona fisica, reale, che capisca i loro bisogni non con un “banker avatar” che ragiona con il rating invece che con la testa!

E.:   Ti dirò di più, dai nostri amici imprenditori che lavorano con le banche sento sempre dirmi due cose: in primo luogo che la banca deve parlare la loro lingua e non sbiascicare in inglese, soprattutto quando si parla di gestire il risparmio personale, e in secondo che quando occorre veramente parlare in inglese, cioè accompagnare l’imprenditore all’estero, la banca non inizi a parlare in dialetto.

W.:  Tu dimmi invece, cosa ne pensi, cosa succederà adesso?

E.:   Caro mio il mondo è difficile, ma è anche semplice, hai visto cos’è successo nel 2008: è fallita una banca e le banche non si sono più fidate di loro stesse ed è venuto giù il mondo e lo sai perché? Perchè oggi il mondo è interconnesso ad un punto tale che, come dicevano in televisione basta che un mandarino alzi un dito perché un uomo muoia a mille chilometri di distanza. L’interconnessione, il possesso delle informazioni e la loro velocità di diffusione sono il fattore critico di successo.

W.: Ma noi, in Piazza Maggiore, saremo sempre esclusi allora….

E.:   No, ormai il problema è superato, abbiamo internet, la tv satellitare, il cellulare; il vero problema è la lentezza di reazione, nostra e del nostro sistema imprenditoriale: gli imprenditori per sopravvivere devono affrontare i medesimi rischi che affrontavano i mercanti veneziani del ‘300 e ‘400: andare dall’Europa in Asia, conoscere anche quel territorio, istituire non più fondachi ma stabili organizzazioni industriali e commerciali, affrontare realtà usi e costumi diversi, avere proprie persone che, come Marco Polo, risiedono in quei territori per anni.

W.: E’ vero, manca il coraggio; non lo vedi anche tu che il sabato i nostri imprenditori non sono in giro per il mondo a caccia di clienti ma vengono qui in Piazza a fare “le vasche”? quando vanno all’estero al massimo vanno al mare in Costa Azzurra o alle famigerate Maldive! Siamo un paese di vecchi, ci manca la spinta per andare là dove il mercato c’è e cresce: Asia, Africa, Sudamerica.

E.:   Guarda che a frenare anche chi ha ancora  il “fuoco interiore” è il nostro sistema, sia il pubblico sia le banche, che ragionano da vecchi: ci sono alcune statistiche che dicono che in Italia, l’età media degli alti dirigenti bancari sia di 53 anni circa , mentre in India sia intorno a 40 anni.

W.:  Le classifiche su come è difficile fare impresa in Italia rispetto ad altri paesi non si contano più. Ma la borsa e il private equity? Non dovrebbero aiutare l’imprenditore?

E.:   Anche sul private equity ci sono libri interi.. ma sulla Borsa Italiana ti riporto solo un dato che mi ha raccontato mio figlio: sai quanto capitalizzano assieme le società quotate che compongono il cosiddetto indice FTSE MIB cioè la “crema delle imprese italiane? All’incirca 450 miliardi di Euro; ebbene sai quanto pesano in tale indice l’insieme delle imprese private (cioè né banche né imprese dello Stato Italiano)? Il 33,6%. Vuol dire che la borsa serve solo a raccogliere capitali per il sistema bancario o per lo Stato….  Eppure continuo ad essere ottimista.

W.: E perché?

E.:   Perché l’imprenditore italiano è un animale con un codice genetico eccezionale: ti pare possibile che il maggior produttore mondiale di attrezzature per ginnastica sia italiano mentre la patria del fitness sono gli USA? Ti pare possibile che solo in Italia ci sia il fenomeno delle “multinazionali tascabili”?

W.: Quindi qualche imprenditore fa come i mercanti veneziani nel ‘300, ma cosa sarà degli altri?

E.: Che impareranno, e che, con fatica ma ingegno anche loro dovranno adeguarsi ad un nuovo mondo il cui baricentro si sta spostando dall’Europa e America del Nord all’Asia e al Sudamerica. Dovranno avere in mente che il loro territorio di caccia è più complesso di una volta.

W.: E le banche?

E.:   Qui sono un po’ meno ottimista, perché ancora oggi le banche ti seguono, ma sempre con il famigerato “salvo buon fine”, perché non credono alla borsa e quindi non sostengono gli aumenti di capitale dei loro clienti ma solo i loro, perché continuano a dar troppo peso alle garanzie e meno al business e alla bontà dell’organizzazione. Però anche loro, vedrai, dovranno seguire la clientela e, controvoglia si adegueranno

W.: Ma allora significa che tarperanno le ali alle capacità dei nostri imprenditori?


E.: Forse sì, forse no, lo vedremo dalla crescita delle “multinazionali tascabili” in rapporto alla crescita degli impieghi delle banche di credito cooperativo: se le prime aumenteranno, saremo un paese virtuoso, se aumenteranno i secondi, non saremo un paese di imprenditori, ma rimarremo uno dei più bei paesi dove vivere e serenamente invecchiare!
L’ECONOMIA VA MALE, LE BANCHE FANNO UTILI E LE IMPRESE?
Marzo 2010

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale in Piazza Maggiore in un paese di provincia)

W:   E allora, ho visto che sei stato assente, cosa ti è successo?

E.:   Mi sono ammalato e poi sono andato ad aiutare mio figlio.

W.: Spiegami un po’ cosa ti ha distolto dalle nostre chiacchierate e dalla bellezza della nostra campagna.

E.:   Come tu sai mio figlio lavorava a Milano nella filiale italiana di una di queste banche estere dove non sai chi sia il cliente e cosa gli stai offrendo. L’anno scorso la banca è fallita, non nel senso che intendiamo noi, ma nel senso che è stata comprata dallo stato di appartenenza.

W.: Siccome sta per fallire lo stato la compra….mi sembra un’ottima idea, tipicamente italiana, che abbiamo esportato all’estero! Ma tuo figlio?

E.:   Pensa che invece è stata applicata negli stati del capitalismo più spinto: USA e Inghilterra; invece per mio figlio la filiale italiana è stata chiusa in pochi mesi, come peraltro fanno da sempre tutte le multinazionali quando ristrutturano; quindi mio figlio ha fatto lavoretti saltuari per cui l’ho aiutato.

W.: La famiglia in queste situazioni è fondamentale. Ma adesso sei tornato.

E.:   Sì perché è stato assunto da un’altra banca estera e ha ripreso a fare lo stesso mestiere che faceva prima: strane operazioni finanziarie che non si sa se hanno come controparte un cliente vero, ma si sa per certo che la banca fa utili incredibili.

W.: Ma come, il mondo l’anno scorso è andato in crisi perché non c’era più fiducia nelle banche al punto che neanche le banche si fidavano di loro stesse e adesso, a meno di 12 mesi, tutto è tornato come prima?

E.:   E’ come quando una volta il grande Po straripava perché non c’erano gli argini: il raccolto andava a farsi benedire, ma l’anno dopo si riprendeva come prima, solo che nella finanza gli argini non li hanno ancora inventati.

W.: Ma allora significa che dopo il temporale è tornato il sereno?

E.:   No, questa volta qualcosa è cambiato: una volta le imprese italiane avevano un imprenditore che, come dicono a Milano, con la valigetta girava il mondo per vendere i suoi prodotti, poi tornava a casa, ne parlava con il direttore della sua banca, si guardavano negli occhi e se c’era fiducia, la banca aiutava l’imprenditore.

W:   E’ vero, ma ognuno però stava a casa propria: l’imprenditore gestiva la sua azienda come gli pareva, la banca si fidava ma fino ad un certo punto, perché in molti casi chiedeva firme personali, depositi di titoli a garanzia etc.

E:.   Hai ragione, ma oggi l’imprenditore non può più andare in giro con la valigetta, deve portarsi appresso un sistema aziendale, i prodotti li fa fabbricare all’estero dove ha anche proprie controllate, il cliente vuole un servizio post vendita; e la banca vuole budget, business plan, certificazioni e poi c’è il rating!

W.: Il rating? Ma il rating è ormai una cosa vecchia!

E.:   Mio caro amico, il rating è un oggetto conosciuto per le grandi imprese, ma le banche hanno iniziato solo nell’ultimo anno a dare i voti ai propri clienti medio piccoli

W.: Lo so, il famigerato rating è composto da una parte quantitativa, cioè l’analisi di bilancio, che viene parzialmente integrata da una parte qualitativa.

E.:   E sai cosa significa questo? Il banchiere non conosce più l’imprenditore, non va più a vedere le fabbriche, non gli interessa conoscere il management, guarda solo il rating. Probabilmente anche quando sta con una donna le fa il rating…. Poi pensa, c’è una banca italiana che è stata guidata per anni da un ex direttore del personale; è stato sostituito,  ma  il suo successore si è occupato nell’esperienza precedente principalmente di titoli e derivati, dove i rating e gli algoritmi sono l’unica cosa che conta; come si può pensare che questa banca capisca le imprese?

W.: Sì ma l’imprenditore ha oggi altri canali di raccolta di capitali: c’è la Borsa, l’AIM, i fondi mezzanini, il private equity.

E.:   E’ vero ciò che dici, ma è anche vero che le imprenditore medio è sempre restio ad aprire il capitale e che in Italia il canale bancario è sempre preponderante. Quindi è un bel pasticcio.

W.: Insomma il banchiere non sa far più il banchiere (tanto guadagna lo stesso) proprio quando l’imprenditore deve diventare ancora più l’imprenditore

E.:   C’è però una cosa che mi consola: l’attuale classe imprenditoriale vincente è tutta di prima generazione, quindi c’è tra i nostri un genoma di rinnovamento che farà sì che si creeranno imprese più forti e solide adattate al nuovo ambiente

W.: Non ti ho mai visto così ottimista

E.:   Perché sono stato gravemente ammalato, sono guarito e il mio corpo si è rinnovato; penso che in Italia non ci sia ancora un cancro mortale, e quindi con un po’ di tempo saremo più forti di prima, a dispetto del rating!  
I MAGAZZINI SONO PIENI, LE CASSE SONO VUOTE, SCAMBIAMOCI LE FIGURINE....

Giugno 2009

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)


W. Caro amico, è un bel pasticcio.

E.  Come? Perché? Posso fare qualche cosa?

W. Non hai capito. È successo di tutto. Le famiglie povere soffrono, quelle che erano ricche lo sono un po’ meno, le aziende ricorrono alla cassa integrazione, il Pil si è azzerato, le banche stanno fallendo, i governi intervengono e forse falliranno pure loro nel tentativo di non far fallire le banche.

E.   Poi, se avrai tempo e pazienza, mi spiegherai che cos’è il Pil e la cassa integrazione, ma ora spiegami cos’è successo.

W. In poche parole, semplici, per farti capire, sappi che qualche cosa si è inceppato nel meccanismo produttivo. Il ritmo capitalistico, l’elettronica, la globalizzazione hanno fatto un cocktail esplosivo. Si è creato un eccesso di produzione; i magazzini sono pieni e a casa tua, come a casa mia, lo sono anche gli armadi.

E.   Scusami, scusa la mia semplicità, ma da che mondo è mondo, qui da noi se i magazzini sono pieni si fa’ festa. Se sono vuoti il problema è serio.

W. Anima semplice, se i magazzini sono pieni le fabbriche non sanno più cosa produrre e/o per chi, e intanto la merce in magazzino comincia a deprezzarsi, quindi nascono tanti altri problemi.
      Ci vorrebbe un diluvio, un incendio, una rottamazione gigante o una guerra!

E.   Certo! Una volta c’era la guerra, distruggeva tutto e si ricominciava daccapo. Ma questa disavventura quanto potrà durare?

W. Esattamente il tempo necessario a svuotare i magazzini. Poi si potrà ricominciare.

E.   Ma il vero problema adesso è la globalizzazione. Una volta, quando in un paese qualsiasi c’era un buon raccolto, abbondanza di ricchezza, arrivavano i barbari di turno, portavano via tutto e si ricominciava. E l’Italia di questi cicli ne ha visti tantissimi. Ma dimmi un po’: perché mi dici che le casse sono vuote?

W.  Per la solita ragione. Gli addetti alla finanza hanno prodotto molto, tanti prodotti, troppi prodotti, e tutto si è ingolfato e quindi tutti hanno perso ricchezze enormi. Tu non paghi, ma io non pago te.

E.   Ma è proprio così?

W. Proprio. Banche specializzate nel gestire il denaro degli altri hanno perso cifre che non si riescono nemmeno a contare nel gestire i denari propri. Sono fallite, hanno cambiato nome, saranno aiutate dagli stati, il pubblico interverrà nel privato, mentre solo poco tempo fa’ era il contrario. Cara anima semplice, si sono fatte e sono successe cose che, raccontate oggi, anche  a pochi mesi dal grande pasticcio, sembrano impossibili.

E.  Ma divento sempre più curioso, fammi un esempio.

W. Volentieri e se non ci credi, puoi controllare. C’è fra Bergamo e Brescia una piccola media azienda che produce acciaio. Fattura circa 120 milioni di euro e nel frattempo ottiene finanziamenti per miliardi di euro. Ottiene soldi da banche e compra titoli delle stesse banche che poi ne tirano fuori altri soldi per pagare le perdite di altre banche e avere così il privilegio di essere gli unici creditori.

E.   Io sarò ingenuo perché vivo qui, dove il massimo dell’eccesso è il bollito misto del giovedì, ma, se così è, qualche cosa da nascondere c’era o c’è: ma forse il titolare dell’azienda e quello della banca erano e sono amici?

W. Si, si dice che si conoscono, che si parlano e, forse, hanno insieme interessi in altre società.

E.   Ma dimmi, qualcuno qualcosa paga?

W. Gli Azionisti sì, i vertici, invece, sono sempre lì.

E.   Sono sempre più confuso. Se i magazzini sono pieni, allora vuol dire che c’è abbondanza, ma poi le casse sono vuote, e comunque gli stati le riempiono stampando moneta per comprare i c.d. “titoli tossici”.

W. Come sempre non si inventa mai nulla di nuovo. Tutto cambia e niente si inventa. Si abbandona il burraco e si ritorna al monopoli.

E.  Allora se io ho Viale Margherita e tu tre alberghi, ci cambiamo le figurine e abbiamo l’impressione di aver fatto l’affare. Se così è caro amico, prepara un po’ di figurine che ce le scambiamo e quello che sarà il  gioco del 2009, si chiamerà “Carta contro Carta”. Lo faremo sulla piazza Grande in un comodo tavolo del Caffè Centrale. Da qui potremo leggere tutto quanto succede ad uomini indaffarati e noi che siamo staccati dai loro problemi ci chiederanno cosa fanno e dove vanno.

W. E ci chiederemo se tutti questi uomini che compaiono sulla stampa, sono loro ad aver inventato le storie e se sono le storie che hanno inventato loro.

E.   Ma ora, lasciamo perdere le grandi situazioni  che competono ad altri. Raccontami invece di te, del nostro “particolare”. Se non m’inganno hai l’aria soddisfatta.

W. Ti racconto: avevo tempo, non sapevo a cosa applicarmi, avevo un fienile ed una barchessa vuota ed ho iniziato un’attività di insegne luminose. Ho preso come clientela il settore banche. Ebbene, ogni anno ho triplicato il fatturato. Ho continuato a cambiare insegne. Per lo stesso gruppo ho cancellato Cariplo, Ambrosiano, Comit, Popolari Venete. Ho fatto insegne bellissime a nome Intesa con i colori dell’arcobaleno. Le ho messe da tante parti, poi le ho rismontate. Ho tolto Intesa, ho messo Credit Agricole e così via………….., Unicredit, Sanpaolo Imi, Banca di Roma, Banco di Sicilia, Capitalia e così via. Fai, togli, disfa e pure ben pagato. Ho scelto il settore giusto. Qui da noi le insegne, al di là delle banche, non cambiano. Ne ho fatta una tempo fa’ con scritto “Latteria” ed è sempre lì.

E.   Ma la gente? Capisce? Come si orizzonta? Fin che cambiano i prodotti………., ma quando cambia anche il marchio ………..come si orizzonta?

W. In realtà caro amico devi sapere che gli uomini sono pigri. Non cambiamo l’abitudine dello sportello, così come non cambiamo la religione che si ritrovano da quando vengono al mondo. Scelgono le donne non andandole a cercare o a conquistare, ma prendendo quello che capita sottomano; non sanno che banche, donne e religione sono cose importanti e si devono scegliere!
Sub-prime, Sottaceti e Panna Montata
 Dicembre 2008

Cosa è successo?
Se n’è andata la liquidità o la ricchezza?

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore di un paese di provincia)

W           Non so, non capisco. Si sente dire che ci siamo impoveriti, che la liquidità se n’è andata. Altri dicono che si era gonfiata. Come quello che succede ad ogni donna ad una certa età.

E             Non preoccuparti, succede spesso, ne abbiamo viste tante…………… Ci vuole un po’ di tempo per rifarsi il trucco, solo che non sappiamo se sarà pesante o leggero. E poi, dalle mie parti dicono che anche quando succedono tante cose, poi alla fine non è successo niente. Il dollaro è sceso? È fuori controllo? Cosa può succedere? La bancarotta? Anche se così fosse non succede nulla. Si annullano i biglietti verdi e il giorno dopo si ristampano gli stessi biglietti di colore blu.

W           Ma cos’è successo? Caro amico, le ricchezze, i bonus, le “fees” hanno grande fascino. Proprio come le belle donne. Attraggono e poi, come sempre succede, se ti innamori perdi il limite della dimensione. Così io penso sia stato.

E             Non è così. Qui oggi, in questo mondo, tutti hanno molto da fare e nessuno ha il tempo per innamorarsi. Il tema è diverso. L’uomo ha creato le banche, le finanziarie, le merchant, gli hedge funds, i fondi di private equity, i promotori finanziari e tutti hanno frenesia di fare anche quando non sanno bene cosa fare. Le banche cioè i clienti, a seconda delle mode, si rivolgono all’uno o all’altro degli attori che ti ho ora elencato.
                Prima finanziavano le aziende, poi le imprese, poi gli immobili, poi le acquisizioni. Ora finanziano la finanza con le figurine che si scambiano l’uno con l’altro, non per giocare a carte, ma per cartolarizzare. Poi ogni volta si cade in qualche delusione e allora si passa ad un altro settore e spesso si risbaglia.

W           Ma spiegami: sono forse pigre?

E             Un po’ è così, un po’ per non sbagliare direttamente, o per non faticare, non vanno a cercarsi il beneficiario finale. Trovano dei prodotti preconfezionati, preparati, strutturati  - come appunto i sub-prime - e investono lì. Se poi il prodotto è ben presentato da un grande nome, come un dolce dal brutto aspetto, ma ricoperto di panna montata, allora si fa ancora meno fatica.

W           Ho capito, però è difficile capire. È come in gastronomia. Se compri un piatto precucinato, non capisci mai quello che  c’è dentro.

E           Certo, come i clienti comprano i sottaceti misti oppure si fanno servire un dolce totalmente ricoperto di panna montata. Certo che è difficile orientarsi, viviamo in un mondo difficile. Pensa che nel settore dove si crea veramente valore, dove il prodotto cresce, cioè in agricoltura, la finanza non investe mai. E non si sa perché, o è troppo semplice o è troppo complicato. Non ricordo nella mia vita di aver visto molte società agricole quotate sui mercati.

W           Ma dimmi, raccontami, spiegami di finanziamenti  erogati dalle banche negli ultimi anni, in che  percentuale questa finanza è andata all’industria  o all’agricoltura o a  chi produce ricchezze o a comprare scatole nel cui contenuto ci sono altre scatole con una leva che non ha certamente nemmeno la Torre di Pisa.

E             Facciamo 10% all’industria, 2% all’agricoltura, qualcosa alle infrastrutture, il resto alle scatole dei grandi finanzieri, agli “spv”, agli hedge funds, al private equity.

W             Queste sono tutte vaghe riflessioni di poco conto. In verità raccontami  la liquidità s’è persa? La ricchezza se ne è andata?
Inoltre i risultati a 10 anni non li considera nessuno, se parli di un trimestre o di un semestre, qualcuno ti può ascoltare, se vai più in là non farci conto.
  
E           Prima ti ho detto che anche quando succede qualcosa, non è successo niente. È tutto un giro. C’era, girava per l’aria per le innumerevoli via elettroniche falsa liquidità, che ora deve essere rimpiazzata e sostituita da vera liquidità. 

W        Quindi quella vera è bloccata. È come Godot che aspetta: basta aspettare vediamo cosa succede o cosa fanno gli altri.

E            Ma non preoccuparti, è come quelli che giocano a carte tutto l’anno fra loro. Un giorno vincono, un giorno perdono e alla fine più o meno vanno a pari, mi sembra semplice. Se uno perde c’è vicino un altro che guadagna. E se le fishes si rompono c'è il banco che te li ridà nuove, come le banche centrali, ristamperanno biglietti.

 W           Ma sei sicuro? proprio, la ricchezza  poi, è un fatto relativo. Che cos’è? Potere? Godimento? Potersi permettere cose strane, diverse…………………..?

E              E’ un po’ così; come quel distinto signore che al ristorante ha di fronte  una bellissima signora, ne rimane  abbagliato, la avvicina, la saluta, si inchina e Le chiede : “scusi Lei è una prostituta?” Lei offesa risponde di no. E Lui Le dice : “peccato, era la mia unica chance.”
Vero è che se chiedi ad una signora se preferisce un uomo ricco o di valore. Ti risponderà che preferisce il primo. Ha subito quello che vuole. Il secondo potrà anche diventare  ricco, ma non si sa quando ed il “valore” è  un bene impalpabile, non quantificabile, non commercializzabile, non definibile: oggi le signore sono come i banchieri, hanno premura, vanno per “quarter”.

W            Hai ragione, così è, ma secondo me non tutto si compra. Se ci pensi bene la ricchezza è un po’ come la proprietà,  non esiste. Se compri un oggetto, o una casa, quello ti sopravvive, sarà di un altro, quindi non è tua. Ne hai un diritto d’uso. Il tuo orologio non è tuo, ce l’hai  in diritto d’uso, non affezionarti.

E              Chi non ha accettato questo concetto è stato Nerone. Non sopportava che una cosa di cui aveva diritto d’uso, finisse ad altri.

W            Vero è: le cose vere, essenziali, le più necessarie, le più belle non si comprano e sono di tutti sia che siano ricchi che poveri. Qui sta la vera uguaglianza.

E             Hai ragione, sai bene di cosa parli: dell’acqua, del sole, dell’aria, della luce. Caro Wladimiro,  Così è! Cose bellissime e democratiche. Di tutti………….!!!!!!!!!!!!! Fortunatamente i banchieri non lo sanno e non sapendolo non hanno strutturato “futures” e non sono ancora riusciti a montarci la panna....


COS' E' IL PRIVATE EQUITY?
Giugno 2007

          Nell' altra lettera, Wladimiro ed Estragon, due amici al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un  paese di provincia, parlavano del "merchant banker", della sua mentalità e del suo lavoro.  Oggi discutono di private equity

W.      Caro amico, è di moda un gioco, che è anche un’attività molto importante in termini di volumi e di scambi di danaro e per spiegartela in modo semplice e a te comprensibile potrei dirti che, in sintesi, si tratta di scambiarsi tante figurine di carta che rappresentano  gli investimenti in aziende.

E.         Spiegami meglio, io ricordo la raccolta delle figurine di calcio, o quella con il feroce Saladino della Liebig o ancor meglio il Monopoli dove compravi strade e alberghi o aziende elettriche, ora - più di moda - utilities.

W.       Certo più o meno è così, hai buona memoria ed il metodo si assomiglia.

E.        Tutto semplice, ma per comprare figurine, se queste rappresentano aziende o cose, devi pur pagarle e poi devi farle funzionare. Una volta se compravi un albergo dovevi essere un albergatore.

W.    Dici cose giuste, ma oggi tutto è cambiato. Ti devi aggiornare. Ora la gestione, e/o l’oggetto da comprare, non deve essere legato al tuo mestiere o a quello che sai fare. Quello che devi saper fare bene è cambiare al meglio le figurine. Io  do i “Giardini Margherita”  a te, un altro ti dà  “Largo Vittoria”, e un altro fa il fondo dei fondi delle figurine e mette tutto assieme.
Morale, per essere pratici, io vedo una cosa che mi piace, che col mio intervento può crescere, chiedo del proprietario e gli propongo di comprarne una parte.
            Discuto il valore, formulo un’offerta. Spesso il compratore invece di pagare, si accolla i debiti.

E.        Non ho capito se il compratore paga o non paga.

W.     Dipende se i debiti sono superiori al valore dell’albergo non ti do nulla. Faccio un po’ di conti , anticipo utili futuri, in crescendo e prendo tutto.

E.        Tu non hai bisogno, per partecipare al gioco, di essere un industriale e una albergatore. Anzi non devi esserlo, così non corri  il rischio di affezionarti all’oggetto.

W.     Capisci, il nuovo proprietario se non è in fabbrica o in albergo, quindi non gestendolo, ha modo di girare e farsi dare i soldi,  i soldi per comprare le figurine, smacchiarle e poi rivenderle.

E.      Certo, spesso non ci vogliono nemmeno troppi soldi perché il criterio di scelta del bene raffigurato da acquisire, dalle figurine è la leva e la possibilità di uscita che poi vuol dire rivendere la figurina.

W.     Vedo che sai bene cos'è la leva: è la capacità di indebitarsi;  la via d’uscita, è la capacità di ricambiare la figurina nel più breve tempo possibile.

E.        E più figurine uno ha e più le cambia velocemente, più è bravo?

W.      Certo è proprio così.

E.       Pensa che una volta ci volevano due o tre generazioni per fare un’azienda ed ora in tre, quattro anni la compri e  la rivendi.
         Lo straordinario è chi compra non lo fa con soldi suoi, ma di tanta gente che  li dà, partecipa, si diverte, si emoziona.

W.     Poi, in genere, chi compra non con i soldi suoi spesso è portato a pagare di più di quello che vale quello che compra

E.        Succede proprio così. Chi gestisce un’azienda non riesce mai a pagare quello che offre chi prende la figurina per poi rivenderla. Tutto è cambiato; il mondo oggi non è più impresa, ma è sostanzialmente finanza.

W.      E dimmi,  se poi non riesce a cedere la sua figurina?

E.       C’è il trucco. Quando si compra ci si premunisce.
In genere chi vende si obbliga a ricomprare o, se non ritiene di farlo, dice a chi ha comprato: “andiamo in borsa” dove ci sono  tante altre persone  che comprano tante figurine che non tengono per tre, quattro anni ma per esempio per una settimana, un mese….. .

W.       Fantastico ………. Proprio come al monopoli, dove ad ogni giro puoi cambiare le tue proprietà.

E.        Ma spiegami, l’azienda con tutti questi cambiamenti, si orizzonta? Soffre?

W.    Dipende, in genere il socio nuovo porta aria fresca idee nuove. Peccato che quello che l’azienda produce, prima va a pagare la leva, quindi il debito fatto dal compratore, il resto, se c’è, va agli investimenti, a potenziare l’azienda.

E.     Caro amico, mi racconti cose affascinanti, ma io non sono “pratico” però mi ricordo di aver letto cinque righe scritte da un signore, un po’ cinico, che circa 500 anni fa’, alla fine di una vicenda,  che si chiamava “Tempesta” e così ha scritto :
            “Cari amici……….. i nostri giochi sono finiti, gli attori, come vi avevo detto, erano solo fantasmi e si sono sciolti  nell’aria, un’aria sottile………….. Tutto svanisce nell’aria senza lasciare fumo di sé. Siamo nella stessa natura di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è cinta di sonno”.

W.      Così è!