martedì 30 dicembre 2014

FINANZA, IMPRESE E INVESTITORI STRANIERI
Dicembre 2014

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W: Caro Amico è la prima volta che ti vedo a leggere riviste straniere e addirittura scrivere ideogrammi. Hai imparato il cinese?

E:   Vedi, mio figlio, che come ben sai lavora in una banca a Londra, mi ha detto di prepararmi all'arrivo di tanti capitali asiatici, soprattutto cinesi.

W:   In effetti hai ragione, anche la nostra bella terra sta diventando cinese, nel Chianti già un paio di case vinicole sono state comprate da imprenditori asiatici, la casa di mode Krizia è stata venduta ad un gruppo cinese e persino la squadra del Pavia Calcio è diventata di proprietà cinese

E:   Beh, in un paese che continua ad essere in recessione da ormai quasi 7 anni, mi sembra logico che molti pezzi pregiati del paese vengano acquistati da stranieri.

W:  Ma in Italia ci sono ancora tanti imprenditori nostrani e tanto risparmio generato nel tempo da poter risalire la china, e perché secondo te non succede?

E:   Forse una volta, ma oggi gli imprenditori sono scoraggiati: lo stato è diventato oppressivo, le banche si nascondono dietro i rating perchè non sanno più far credito, gli stessi risparmiatori non investono più in borsa e preferiscono i rendimenti ridicoli dei titoli di stato. Ti pare che un paese come il nostro abbia visto nei primi 9 mesi del 2014 solo 4 IPO al MTA e solo 18 IPO all'AIM, numeri che a Londra si sono raggiunti un trimestre?

W:  In effetti hai ragione e, anche se non mi piace citare casi concreti, abbiamo anche l'esempio di Rottapharm, società che doveva essere quotata a Giugno 2014 ma che, a causa della freddezza degli investitori istituzionali per il valore considerato eccessivo - si è ritirata dal processo di quotazione, ma che poi è stata venduta ad un industriale estero ad un prezzo più elevato, a conferma del fatto che gli investitori italiani non vogliono realmente investire e che dall’estero arrivano molti capitali a comprare le buone imprese italiane a valori molto alti.

E:    Su questo esempio però sono perplesso, anche sulla base delle opinioni raccolte da mio figlio. Il prezzo non era elevato, ma sostanzialmente in linea con il valore di quotazione.

W:   Beh, il dato ufficiale era che il valore delle azioni di Rottapharm era nell’ambito di una forchetta compresa fra 1,5 e 1,8 miliardi di Euro, mentre il gruppo che poi ha comprato la società ha pagato 2,3 miliardi di Euro.

E:   Amico mio, questo è quanto appare, ma occorre guardare in profondità: intanto gli acquirenti hanno pagato un premio di maggioranza, cosa che invece non poteva essere pagato dagli investitori finanziari; tieni conto che, i “soloni” del pensiero economico indicano in un 15% il in più il valore del premio di maggioranza; se consideri questo, il valore sale ad una forchetta tra 1,7 e 2,1 miliardi di Euro; inoltre, devi tener conto dei pagamenti: infatti la quota pagata subito è pari a 1,6 miliardi, mentre un’ulteriore quota – pari a 275 milioni - sarà pagata in denaro nel 2017; infine gli ultimi 375 milioni saranno pagati in azioni dell’acquirente. È evidente che la quota in denaro pagata nel 2017 assomiglia più ad un dividendo che ad un prezzo. Infine gli acquirenti restituiscono alla famiglia l'attività di Ricerca & Sviluppo definite “Rottapharm Biotech”.

W:  Questo mi sembra una gran cosa, poter mantenere nel nostro paese un centro di R&S anziché veder trasferito all'estero il know-how nazionale impoverendo le capacità intellettuali del paese.

E:    Attento, caro amico: le attività di R&S sono il cuore delle società farmaceutiche, e senza di esse le imprese diventano dei semplici stabilimenti produttivi sempre dipendenti dal prezzo di fabbricazione. In USA le imprese farmaceutiche hanno valore quasi esclusivamente per i brevetti e per le attività di R&S in corso, e il fatto che un'impresa farmaceutica compri un'altra rispedendo indietro ai soci il reparto R&S significa che quel reparto non solo non valeva niente, ma aveva in realtà un valore negativo, e che le risorse finanziarie che avrebbero dovuto essere dedicate a tale attività non erano considerate ben investite. Se sommi, la restituzione del reparto R&S ad un pagamento parzialmente per contanti e di cui una parte pagata fra 3 anni, vedi che la differenza rispetto al prezzo di borsa non era poi troppo diversa.

W:  Il mondo è sempre più complicato e difficile da capire, in pratica mi dici che in questo caso i soci hanno fatto un pessimo affare?

E:    Al contrario, i soci hanno massimizzato il loro obiettivo, perché hanno ottenuto denaro contante; è la nazione che ci perde, perchè una qualsiasi azienda il cui valore è dato dalle proprietà intellettuali e che viene venduta ad acquirenti esteri, nel medio termine trasferisce tale valore all'estero e il paese rimane un semplice stabilimento produttivo: rimangono le braccia, ma il cervello è emigrato.

W:   Però il paese è diventato più ricco, pensa ai capitali che sono arrivati in Italia.

E:   Intanto sono finiti in buona parte a rimborsare le banche, quindi capitali sottratti all’economia d’impresa e destinati ad una finanza improduttiva; ricorda che Rottapharm era una società gravata da un pesante indebitamento. Poi non è detto che questi capitali rimangano in Italia, infine, essendo ormai la famiglia di seconda generazione, molto probabilmente saranno utilizzati per le necessità ed i capricci famigliari, perchè in Italia normalmente, quando la famiglia vende l'impresa, poi non investe più nell'industria ma diventa finanziere.

W:   In pratica mi dici che aver rimborsato le banche e che la famiglia avrà tanti capitali disponibili è peggio che avere tanti debiti con le banche e una famiglia che ha un solo investimento nel  quale è concentrata tutta la propria ricchezza?

E:   Questo sicuramente no, però di fronte all’alternativa se continuare o se monetizzare, hanno scelto il denaro: pensa invece  a quegli imprenditori che sono da sempre focalizzati sulla loro impresa, pensa alla famiglia Prada, al duo Dolce & Gabbana, alla famiglia Ferrero, a Caprotti di Esselunga, tutti imprenditori che sono da sempre concentrati sulla loro azienda, che non hanno mai distolto l'attenzione della crescita dell'impresa e che sono pertanto diventati dei colossi e in alcuni casi delle vere multinazionali.

W:  Peraltro D&G sono stati tanto attaccati dallo stato e persino insultati dal comune di Milano in modo così pesante che solo imprenditori innamorati della propria impresa come loro non hanno gettato la spugna.

E:  Ecco amico mio, hai individuato uno dei principali cromosomi del DNA dell'imprenditore italiano, l'innamoramento per il proprio lavoro e per la propria impresa e la caparbia volontà di farla crescere anche a dispetto di un ambiente ostile.

W:  Però da quanto mi dici è un DNA che si sta estinguendo, se è vero che dobbiamo prepararci ad un'invasione dall'Asia di nuovi capitali ed imprenditori.

E:   Amico mio, ogni anno che passa ci troviamo a guardare i campi che puntualmente danno raccolti abbondanti, e ogni anno ci diciamo che gli imprenditori si piegano ma non si spezzano, ma purtroppo l'ambiente in cui i nostri imprenditori operano è diventato oggi così ostile che il seme dell'imprenditorialità magari attecchisce, ma poi non cresce.

W.:  La sfiducia sempre maggiore che traspare dai tuoi ragionamenti mi inducono a pensare che da questa crisi il nostro bel paese ne uscirà molto male.

E.:   Se noti dalle tante IPO piccole e dalle poche IPO grandi di quest’anno 2014, ho grande sfiducia delle capacità delle grandi imprese e dei loro grandi imprenditori a fronteggiare questa crisi, ma le imprese piccole sono vive ed in grande fermento, e probabilmente hanno avviato una mutazione genetica che non siamo ancora in grado di capire. Ma se il trend delle IPO all’AIM continuerà così anche nei prossimi anni, allora l’Italia avrà trovato un suo modo originale di far convivere grandi imprese straniere con tanti imprenditori medi che – a dispetto delle dimensioni - si sapranno imporre efficacemente sui mercati globali.

W.: Insomma, il terreno non è più fertile come nel secolo scorso, anzi è inquinato, ma nei semi è avvenuta un’evoluzione dei codici genetici.

E.:  Esatto amico mio, sono convinto che il prossimo anno ne vedremo tante di novità e di situazioni          strane, perché l’imprenditorialità è come il seme della vita, sempre pronto a riprendersi!

mercoledì 30 luglio 2014

IMPRESE, BANCHE, PRIVATE EQUITY E BORSA
Luglio 2014

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:  Caro amico, come mai stai mettendo in modo ordinato le carte su un tavolino del bar, e come mai hai messo tante carte sparpagliate su un altro tavolino di fianco, tu che a carte non hai mai giocato?

E.:   Questo gioco si chiama “rubamazzetto bancario” e mi serve per farti capire con le carte quello che mio figlio mi ha raccontato ieri sera. Adesso che lavora a Londra per una banca internazionale che opera molto anche in Italia, ha una visione che noi spesso non riusciamo ad avere sulle dinamiche finanziarie del nostro paese, delle banche, dei fondi di private equity e della borsa.  

W.: La gente comune dice che la finanza è un mondo di biscazzieri, ma se parli con i banchieri in questo modo, ti rispondono con pistolotti di ore sull’etica dell’istituzione bancaria, su come i fondi di private equity hanno creato valore per l’Italia, etc etc. Ma illustrami il tuo pensiero.

E.:   Ora ti spiego: il tavolino con le carte ordinate è il mondo del private equity; le carte blu scoperte sono i gestori dei fondi di private equity, i mazzetti delle carte rosse coperte vicino ad ogni carta blu scoperta sono i soldi che ogni gestore ha raccolto. In realtà, almeno in Italia che è banco-centrica, sono le banche che creano il mercato del private equity. Il valore della carta scoperta corrisponde alla capacità del gestore di far moltiplicare i soldi che riceve in gestione: un re è molto bravo, un 2 è scarso, a meno che non sia di “briscola”. 

W.: Sì, ma che c’entra con i soldi?

E.:   I soldi che i gestori dei fondi di private equity ricevono provengono generalmente dalle banche; quindi sono in parte loro capitale, in parte sono denari dei depositanti, in parte di clienti della banca che investono in modo diretto nel fondo, proprio in quanto la banca è un investitore. Molte volte è la banca che li convince consigliando loro di investire lo stesso importo che investe la banca stessa. Quindi, se c’è un mazzetto di 4 carte rosse coperte, significa che la banca ha messo 1 carta dei propri capitali, 2 carte sono i soldi raccolti dai risparmiatori e 1 carta sono investitori istituzionali che si sono convinti dell’affare.

W.: E l’altro tavolino con le carte rosse e blu sparpagliate?

E.:  Quello rappresenta il mercato dei capitali, cioè la borsa, dove il mondo è fluido e dove i gestori, che sono diventati indipendenti dalle banche, operano in concorrenza non solo tra loro ma anche con i privati e dove il denaro corre in modo anche irrazionale; ecco il perché delle carte – tutte coperte – e sparpagliate.

W.: Spiegami allora come funziona il “rubamazzetto” con il mondo ordinato rispetto e con quello disordinato.

E.:  Amico mio, il mondo della borsa sembra disordinato, ma è come l’acqua, si livella in modo preciso dappertutto. L’altro, invece, è come un insieme di mucchi di neve: in alcune parti sono più alti,  in altre sono più bassi, ma sempre neve è.

W.:  Ti capisco poco, ma spiegami meglio queste differenze.

E.:   Fino a qualche anno fa, molti gestori di private equity compravano aziende su indicazione delle banche investitrici. L’acquisto era sempre finanziato con indebitamenti rilevanti, che venivano concessi sempre dalle stesse banche investitrici. I managers spremevano le aziende per consentire i rimborsi degli enormi debiti contratti. Appena si poteva far vedere che i rimborsi iniziavano, il gestore cedeva l’azienda ad una altro fondo di private equity diretto da un altro gestore che chiedeva alle banche – loro consulenti e investitrici nel fondo – altri finanziamenti ancora più alti. Quindi le carte coperte del gestore “5 di Quadri” venivano passate al gestore “7 di Cuori”.

W.: Mio caro amico, ma questo è noto: in Italia i fondi di private equity si sono scambiati le figurine per molto tempo comprandosi e ricomprandosi le stesse aziende per valori sempre più alti e per aziende sempre più spremute al punto da non essere più in grado, in qualche caso, di fare gli investimenti minimi di manutenzione.

E.:   E’ verissimo, ma siccome non sono figurine, ma tanto denaro, occorre capire bene cosa è successo: le carte coperte che passano da un gestore dall’altro sono in parte rimaste sul tavolo, in parte sono state riprese dal mazziere, che ha appunto rubato il mazzetto. In questo tavolo il mazziere è il sistema bancario che per anni si è arricchito facendo moltiplicare le carte e ritirando solo quelle relative al proprio profitto. Poiché le banche sono investitori degli stessi fondi ai quali fanno anche sia da advisor, sia da finanziatore, alla fine sono i banchieri che decidono come, quando e quante carte spostare da un gestore di un fondo ad un altro e quando rubare il mazzetto. 

W.: E con questo mi confermi che l’Italia è un paese che, nonostante si parli di Borsa, AIM, arrivo di nuovi investitori stranieri, è sempre nelle mani del sistema bancario.

E.:   La situazione dal 2008 ha iniziato a cambiare, ma ci vorrà ancora molto tempo.

W.: Certo, volendo seguire il tuo discorso, nel famoso “Settembre Rosso” del 2008, una gamba del tavolo si è rotta e molte carte sono scivolate per terra.

E.:  Caro amico, hai colto al volo la mia parafrasi! Esatto, con il crack della Lehman, le banche hanno iniziato a non fidarsi più l’una dell’altra, è come se, appunto come dici tu, si fosse rotta una gamba del tavolo e le carte fossero cadute.

W.: Ma perché mi dici che ci vorrà ancora molto tempo?

E.:  Per vari motivi. Tieni conto che, grazie alla Banca Centrale, il tavolino è stato riparato, ma la mentalità è rimasta. Infatti avendo meno carte sul tavolino riparato, le banche hanno pensato bene di prendere un po’ di carte dal tavolino con le carte sparpagliate, cioè dal mercato borsistico per rifarsi dei mazzetti caduti per terra.

W.: Quindi mi dici che il sistema bancario utilizza il denaro dei risparmiatori per rientrare dei propri investimenti?

E.:  Certamente, basta analizzare assieme le nuove quotazioni in Borsa ai segmenti MTA e STAR: tra gennaio 2013 e luglio 2014 sono state quotate 6 società in tutto; di queste, 4 avevano come azionisti di maggioranza fondi di private equity e una quinta società è una SGR che una banca italiana ha quotato per migliorare i suoi ratios patrimoniali. Considera che sono sempre le stesse banche che sono sia investitrici dei fondi di private equity azionisti delle società quotande, sia advisors del processo di quotazione sia, infine finanziatrici dei “leverage” creati inizialmente; quindi puoi ben capire che le banche hanno potuto prendere i mazzetti sparpagliati e portarseli via, e anche in questo caso vale la regola che “il banco vince sempre”!

W.: Indubbiamente hai una visione molto cruda del sistema. Ma perché dici che il sistema sta cambiando anche se molto lentamente?

E.:  Mio caro amico, il tavolino con le carte sparpagliate, che è il vero mercato dei capitali, è difficilmente controllabile, ci sono molti operatori che investono solo se vedono il profitto. Infatti, delle 6 società solo 3 sono sopra il prezzo di collocamento e 1 di queste, dicono fonti di mercato è stata tenuta in alto dalle banche del consorzio di collocamento. Questa situazione ha fatto sì che molti investitori di Borsa hanno iniziato a guardare le quotazioni di società controllate dai fondi di private equity come delle “fregature” e non vogliono farsi rubare i mazzetti.

W.: Quindi, secondo il tuo ragionamento, gli investitori di Borsa sono diventati molto diffidenti rispetto alle quotazioni di aziende partecipate da fondi di private equity.

E.:   Infatti, altre 2 società dovevano essere quotate nel mese di luglio 2014 in cui gli azionisti di riferimento erano fondi di private equity; tali società avevano debiti finanziari ingenti che sarebbero stati rimborsati con il denaro derivante dalla quotazione, ma i gestori non hanno apprezzato le operazioni e le società sono state – come si dice in gergo – “ritirate dal mercato”.

W.: Quindi questo atteggiamento dei mercati borsistici dovrebbe servire anche per modificare un comportamento poco etico delle banche?

E.:   Probabilmente sì, anche perché il rubamazzetto non è salutare per l’Italia. Pensa a quanti soldi sono stati prestati ai fondi per comprare aziende con “leverage buy-out” enormi il cui rimborso toglie ossigeno alla crescita. E non solo le imprese indebitate non sono cresciute, ma le banche hanno distolto denaro al finanziamento delle imprese sane per consentire loro di migliorare e svilupparsi, quindi con un danno doppio per il paese.

W.: Capisco quello che dici, e sono convinto che questo comportamento ha ingenerato tante emulazioni da parte di tanti “2 di picche non di briscola”, cioè da parte di gestori non professionali e poi dal rubamazzetto si è passato ai giochi d’azzardo, altrimenti non si spiegherebbero così tante crisi industriali.

E.:  Ecco amico mio, hai perfettamente capito cosa volevo dire. Ma tieni conto che mentre da Gennaio 2013 a Luglio 2014 si sono quotate 6 grandi aziende, all’AIM invece se ne sono quotate oltre 20; inoltre i capitali raccolti sono stati in maggioranza destinati allo sviluppo, perché pochissime sono state le azioni poste in vendite dai soci, anche perché non c’erano tra i soci fondi di private equity.

W.: Se però dobbiamo attenerci alle statistiche, le quotazioni all’AIM non hanno ancora dato soddisfazioni ai risparmiatori, la maggior parte delle azioni sono vicine o sotto il prezzo di quotazione. 

 E.: Hai ragione, certo, ma sono comunque soldi che sono stati destinati allo sviluppo e non al rimborso delle banche, quindi servono fare crescere piccole imprese i cui risultati si potranno vedere solo nel medio termine.  In pratica sono dei “jolly” che potrebbero al momento giusto trasformarsi in Assi di Denari!










giovedì 3 aprile 2014

IMPRESE, BANCHE, FEUDALESIMO E GENETICA
Aprile 2014

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, sei in giacca e cravatta, non dirmi che sei già stato all’assemblea della tua banca di credito cooperativo per l’approvazione del bilancio del 2013!?

E.:   Ho partecipato all’assemblea della banca non per approvare il bilancio, ma per deliberare un aumento di capitale sociale improcrastinabile.

W.: Perché anche le banche di credito cooperativo devono soddisfare i requisiti di Basilea 3?

E.:   No, molto più banalmente, abbiamo dovuto aumentare il capitale per coprire un’importante perdita su crediti causata dal fallimento di un grosso cliente della banca e, se non avessimo provveduto subito, la Banca d’Italia ci avrebbe commissariato.

W.:  Tutte le banche stanno soffrendo perdite su crediti ingenti, capirai, dopo 6 anni di recessione mi sembra normale.

E.:   No amico mio, nel nostro caso non è normale che un singolo cliente affossi il lavoro di centinaia di dipendenti e di fiducia accordata a centinaia di piccoli imprenditori, artigiani e risparmiatori, soprattutto quando il cliente in questione è anche un socio della banca ed amico del Presidente.

W.: Io guardo sempre all’economia dei sistemi e alle loro dinamiche, ma quando dai discorsi generali si scende nel particolare non capisco. Che razza di banchiere è il vostro presidente? Come mai non si è accorto che il suo amico, nonché socio della banca, era così messo male da fallire?

E.:   Vedi, la conoscenza personale ha fatto prevalere le decisioni rispetto ai rating. Nella nostra economia di relazioni, se sei “amico” dei vertici godi della fiducia che nessun bilancio e/o rating ti può dare.

W.: E’ strano quanto mi dici, quello che so e che vedo è che quando un imprenditore  entra in banca il funzionario, prima ancora di guardarlo in faccia, prende i suoi bilanci e li sottopone a rating e poi sulla base di quel voto, quale che sia l’esattezza dell’analisi, lo classifica, praticamente per sempre.

E.:   Vedi, in parte è così, anzi, è così per l’imprenditore piccolo, ma per l’imprenditore medio o per l’imprenditore grande la situazione è molto diversa. E’ come essere iscritti al Libro d’Oro della Nobiltà della Serenissima Repubblica di Venezia: se fai parte del ristretto giro, perché sei amico del doge oppure perché siedi in un posto di Consigliere d'Amministrazione di una banca, una fondazione o un organismo di quelli che vengono denominati “istituzionali”, allora per te il rating non serve. E se sbagli puoi esser sicuro che non sarai mai sottoposto ad alcuna azione di responsabilità.

W.: In questo devo darti ragione, altrimenti non si capirebbe come mai certi banchieri saltano da un istituto ad un altro come grilli e, nonostante i bilanci – grazie alle loro gesta - evidenzino perdite importanti, nessuno né risponde mai, così come alcuni imprenditori, che hanno bilanci poco chiari ed evidenziano indici di bilancio a rischio, riescano invece ad ottenere crediti e finanziamenti ingenti e a condizioni di tasso molto particolari.

E.:   Ti dirò di più, tutto questo accade perché le banche italiane sono state fortemente intaccate dalla crisi e loro stesse hanno subìto una ristrutturazione organizzativa interna che ha livellato al ribasso la qualità del personale bancario. E non essendo più in grado di operare basandosi sui propri sistemi di rating, i vertici preferiscono fidarsi dei propri rapporti personali.

W.: Beh, in effetti la BCE, negli indicatori strutturali sui sistemi bancari europei ha evidenziato una riduzione del 5,6% dei dipendenti dal 2008 ad oggi a livello europeo, ma la riduzione in Italia è stata nello stesso periodo quasi del doppio.

E.:   Questo significa che in un periodo di crisi come quella scatenata della “Tempesta Perfetta del Settembre Rosso del 2008”, le banche hanno accentrato ai vertici ogni processo decisionale, azzerando le capacità di intervento a livello periferico e trasformando molti banchieri in semplici bancari. Il virus della perdita di fiducia interbancaria, che si è evoluto in una crisi di sistema senza precedenti, ha intaccato le capacità “motorie” delle banche italiane.

W.  E’ vero, praticamente ne ha modificato la struttura genetica: le banche si sono trasformate da organismo flessibile in grado di operare sul territorio con ricadute positive sia sui propri conti economici sia sugli Stakeholders, ad organismo monolitico a difesa di se stesso. Sai che una delle prime banche italiane ha sostanzialmente azzerato la sua capacità operativa sui mercati azionari? Addirittura ha trasferito la sala trading all’estero?

E.: Vedi, ma ti rendi conto cosa è avvenuto? Le banche, a partire dalle più grandi, hanno ridotto la loro attività di intermediazione sui mercati azionari proprio in un momento come questo che invece dovrebbe essere l’era del capitale di rischio.

W.: Che strano paese l’Italia: le banche operano solo con controparti del loro rango, e le piccole imprese devono far da sole e sono abbandonate. Come nell’era feudale, i nobili avevano privilegi e sinecure, i plebei erano sottoposti ad angherie ed ingiustizie. E la nobiltà era refrattaria alle innovazioni, perché avrebbe comportato un rischio di perdita dei propri privilegi.

E.: In fondo la creazione di mercati mobiliari nuovi, come l’AIM, l’ExtraMot Pro sono innovativi per il nostro paese, perché mettono nelle condizioni gli imprenditori di medio-piccola dimensione di poter raccogliere capitali senza l’intermediazione bancaria, creando così una forma di “spiazzamento” per il risparmiatore che non ha più solo il canale bancario dove canalizzare i propri risparmi.

E.:   Però gli imprenditori non stanno sfruttando appieno questo “illuminismo capitalistico”, oggi molti sono i segnali di una resa psicologica della classe imprenditoriale: gli investimenti languono, si preferiscono le rendite di posizione, non si fanno più programmi. Poi c’è anche lo stato italiano, che è il primo a smorzare gli entusiasmi dell’imprenditore. Quindi se si investe poco non si cercano capitali di rischio.

W.: Da un lato hai ragione, anch’io incontro qui al bar molti imprenditori che non ne vogliono più sapere di investire in Italia, che appena possono aprono conti bancari all’estero o non rimpatriano i profitti fatti dalle controllate. Ciononostante le imprese che operano con l’estero vanno avanti e stanno investendo. Inoltre l’AIM, il segmento di borsa per le PMI che oggi conta 41 società, è cresciuto in 2 anni di oltre il 100% con più di 21 aziende quotate di cui 15 solo nel 2013, mentre al segmento di borsa principale nel medesimo periodo ci sono state solo 3 quotazioni. E queste nuove quotazioni sono state permesse dalla presenza sempre più importante dei grandi investitori istituzionali, i fondi d’investimento aperti, i fondi pensione, i fondi stranieri.

E.: Insomma, dal capitalismo di relazione ed incestuoso stiamo andando verso un capitalismo ragionato e razionale ?


W.: Forse è un po’ presto dire che l’imprenditoria italiana si sta affrancando da un sistema bancario degenerato e portatore di handicap, ma l’evoluzione darwiniana sta compiendo i suoi passi e  non è da escludere che sarà lo stesso DNA degli imprenditori a far guarire i nostri malaticci banchieri!

giovedì 20 febbraio 2014

IMPRESE, FINANZA E VENDITE ALLO SCOPERTO
Maggio 2013

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, siamo prossimi al raccolto e i mediatori stanno già lavorando ai fianchi i nostri agricoltori.

E.:   Ormai, i giochi li hanno fatti da tempo, i prezzi sono calanti e nonostante le buone previsioni di raccolto, gli agricoltori si stanno lamentando che ricaveranno ancor meno dell’anno scorso.

W.: Questo è un peccato, perché i nostri mediatori si stanno comportando come i traders di borsa, come finanzieri incalliti, sono dei ribassisti, che è il male dell’Italia.

E.:   Mio buon amico, spiegami queste parole strane e dimmi perché l’attività di mediazione sul grano è il male dell’Italia.

W.:  I ribassisti, sono speculatori che vendono allo scoperto. Sai cosa significa in gergo "shortare"? Significa vendere un qualsiasi titolo (azione, obbligazione, etc.) senza averne il possesso, appunto "allo scoperto" sperando -  più avanti - di  comprarlo – veramente - ma ad un prezzo più basso in modo da consegnarlo a chi l'aveva inizialmente acquistato da loro e tenendosi la differenza come guadagno. Scommettono sul ribasso senza avere il possesso dei titoli. Lo stesso fanno i mediatori quando comprano il raccolto dell'anno successivo.

E.:   Ma questo avviene tutti i giorni: all'apertura dei mercati iniziano le vendite allo scoperto di titoli che si pensano deboli e, prima della chiusura, si ricomprano. E’ una prassi normale su tutti i mercati finanziari. Spiegami perché è un peccato e spiegami perché è un male dell’Italia.

W.: Anima semplice, i ribassisti operano solo sui titoli che sanno che possono andar male, ed operano normalmente sul brevissimo termine, tra l'apertura dei mercati e la chiusura al pomeriggio, e comunque nell'arco di tempo concesso per consegnare i titoli. In qualche caso anche 15 gg. Per usare dei termini “da bar”, sono considerati dei “gufi”, oppure si dice che sono iene e avvoltoi che accelerano la morte della preda.

E.:   Allora, come le iene, hanno una funzione “ecologica”, puliscono il mercato dai cadaveri.

W.: Il problema è che oggi i ribassisti hanno oggi un potere immenso che gli viene dato dalle banche, che li finanziano abbondantemente. Infatti nei momenti di forti tensioni finanziarie, le autorità di Borsa vietano le vendite allo scoperto.

E.:   Ti capisco poco, ma spiegami chi sono questi ribassisti.

W.: I ribassisti, una volta, erano gli agenti di cambio e pochi operatori molto specializzati; oggi invece sono gli hedge funds finanziati dalle banche e le stesse banche che, godendo di crediti enormi presso le altre banche speculano in proprio.

E.:   In effetti è vero quanto mi dici, anche mio figlio, che si è trasferito a Londra a lavorare presso la banca che ha chiuso gli uffici a Milano, mi racconta di finanziamenti enormi concessi a fondi d’investimento che vengono utilizzati per pochi giorni e poi rimborsati a fronte di speculazioni di borsa per ammontari da capogiro!

W.: Mio caro amico, i mercati finanziari non hanno riguardo per nessuno, guardano solo i numeri e purtroppo l’Italia e i suoi imprenditori hanno numeri brutti, quindi è facile scommettere al ribasso.

E.:   Adesso mi fai ricordare che mio figlio mi ha raccontato che la sua banca nel 2011 ha venduto allo scoperto i titoli di stato italiani e molti hedge funds clienti della banca hanno fatto lo stesso, con guadagni enormi. Hanno “shortato” BTP per giorni e giorni, e quando il loro valore è crollato perché molti investitori sono stati presi dal panico, li hanno ricomprati e hanno fatto utili impensabili. Infatti il cd “spread” tra il rendimento dei titoli italiani rispetto ai medesimi titoli tedeschi è schizzato alle stelle. Mi ricordo che era arrivato a superare i 500 basis points.

W.: E con questo mi confermi che l’Italia è un paese di ribassisti, di persone che puntano al peggio, e questo è un male per l’Italia.

E.:   Però adesso la situazione è cambiate, lo spread ha iniziato a contrarsi.

W.: Perché nell’ autunno 2011 sono state avviate alcune contromisure che hanno fermato un possibile crack finanziario del nostro paese: è stato nominato come primo ministro un economista conosciuto in tutto il mondo, le banche italiane hanno sottoscritto in maniera massiccia le emissioni di titoli italiani e il governatore della BCE ha dato loro sostegno. Altrimenti non ti spieghi come la banca più antica del paese ha oggi in portafoglio quasi più titoli di stato che prestiti alle imprese.

E.:   l’ipotesi che mi stai raccontando è suggestiva, ma verosimile. Quindi secondo la tua opinione, a quel punto, i ribassisti hanno smesso di “shortare” l’Italia.

W.: Certo, perché vendere allo scoperto titoli che poi non scendono di valore comporta molte perdite. Ti ricordi che addirittura si pubblicavano annunci di persone che incitavano a comprare BTP? E’ stata come la vittoria nella battaglia di Nicolaevka in Russia dei nostri valorosi alpini, che è servita a poco perché la campagna di Russia è stata una sconfitta pesantissima: infatti dal 2011 assistiamo a crescita dei fallimenti e dei suicidi, PIL che continua a scendere mentre negli altri paesi sale, aziende italiane importanti che vengono vendute agli stranieri, multinazionali che lasciano il paese e chiudono i loro stabilimenti. E’ una guerra, combattuta con altri mezzi.

E.:   Ma quanto può essere addebitato alla nostra classe governante e ai nostri banchieri?

W.:  Molto: i governanti dell’epoca si sono occupati solo di dare un’immagine più solida del paese, ma solo l’immagine, come nelle città di cartapesta che si costruiscono per girare i film western; le banche invece hanno utilizzato il denaro dei risparmiatori per investire in titoli e lo hanno sottratto alle imprese e alle famiglie, hanno tolto ossigeno al sistema, in altre parole hanno “shortato” le imprese. E hanno sbagliato, anche perché non hanno speculato.

E.:   Si narra la leggenda del banchiere John Pierpoint Morgan, che nell’800 con la sua banca prima finanziava alcune imprese, poi chiedeva il rimborso improvviso dei finanziamenti concessi e, visto che gli imprenditori non potevano far fronte, ne rilevava la proprietà a prezzi bassissimi, arricchendosi enormemente. Anche lui “shortava”. Avresti voluto dei J.P Morgan oggi?

W.: Il fatto è che il sistema bancario in molti casi ha ritirato i fidi sapendo coscientemente che le aziende sarebbero saltate. Però non ha fatto niente per riprendersi almeno parte del valore di questo gioco al ribasso. Occorre poi considerare che gli imprenditori italiani non sono ribassisti, almeno non lo erano fino a qualche anno fa, ma sono investitori che – con tutti i loro difetti - gettano il cuore oltre l’ostacolo.

E.:   Beh, il contraltare degli shortisti sono gli investitori di lungo termine.


W.:  E in effetti, mio caro amico il nostro paese ha la fortuna di avere moltissimi investitori di lungo termine, che sono i nostri piccoli imprenditori ed agricoltori. pensa al marchese Incisa della Rocchetta che ha creato negli anni 40 il vino Sassicaia e tutti gli davano del matto e oggi è uno dei più grandi vini italiani! Nel loro DNA c’è una dose di rischio e di guardare lontano superiore a molti altri paesi, e penso che, nonostante le macerie di cui l’Italia  è sommersa, riusciranno a riprendere forza, in barba alla finanza e ai mediatori!

lunedì 17 febbraio 2014

BANCHE, IMPRESE ED ETICA MORALE
Maggio 2012

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, la nebbia nasconde i nostri bei campi e il tempo pazzerello sta creando un paesaggio surreale ed immobile.

E.:   Anche nella finanza è così: una coltre di nebbia e la pioggia autunnale nascondono le buone occasioni e il mondo economico vive in un paesaggio surreale e fermo.

W.: L’altra volta mi parlavi di imprenditori bloccati, oggi mi dici che tutto il mondo è fermo, ma cos’è che realmente ci sta bloccando?

E.:   Mio buon amico, posso solo illustrarti alcune visioni personali, e quindi opinabili: premetto che, fino a quando la popolazione mondiale crescerà, penso che le soluzioni si troveranno anche se con molti scompensi.

W.: Certo, se il PIL non cresce in Europa, cresce  però nei cd. paesi “BRIC” perché lì la popolazione cresce e c’è bisogno di nuovi beni e più servizi, quindi speranza per i nostri imprenditori geniali ce ne sarà sempre.

E.:   Il problema è che la nebbia e la pioggia che ci bloccano altro non sono che la mancanza di etica e di morale, sia tra gli imprenditori, che tra le banche. Se avessimo un comportamento etico, il mondo sarebbe limpido e il cielo azzurro.

W.: Non ti capisco, la maggior parte dei nostri imprenditori sono piccoli, sono famiglie oneste che  lavorano in azienda, il capitalismo familiare è l’ossatura dell’economia del paese.

E.:   È qui che sta il vero problema: l’imprenditore nostrano si comporta con l’azienda - appunto - come un “pater familias”; l’imprenditore nostrano confonde la famiglia con l’impresa ed è piccolo perché vuole rimanere piccolo, perché così non deve distinguere i fatti aziendali da quelli personali, perché se le contraddizioni sono piccole, si risolvono con piccoli aggiustamenti.

W.: Quando mi dici mi stupisce, ma è anche vero che le grandi aziende sono come i grandi campi dei nostri grandi coltivatori, che richiedono macchinari, visione lungimirante e un’ orga-nizzazione strutturata; ma cosa c’entra tutto ciò con l’etica?

E.:   Mio caro amico, quando l’azienda cresce, l’imprenditore dovrebbe condividere le decisioni con altre persone, però nella maggior parte dei casi non vuole, perchè soprattutto non vuol perdere il controllo e soprattutto perdere i flussi di reddito. La ragione è semplice: l’azienda è la sua fonte unica di ricchezza e infatti, invece di investire, l’imprenditore si costruisce il proprio patrimonio personale e invece di comprare macchinari o acquisire altre aziende si compra la villa al mare: quanti imprenditori piccoli si sono comprati ville grandi!!.

W.: Ci sono però le eccezioni: Apollinare Veronesi, fondatore del gruppo Veronesi Mangimi, leader italiano del settore con il marchio “AIA” e con oltre 3 miliardi di fatturato, già nel 1965 scriveva ai figli spiegando loro la differenza tra famiglia e impresa: l'impresa ha un dovere etico di creare un profitto "sano", pagarci sopra le tasse e restituirlo non solo ai soci ma anche agli stakeholders (il territorio, i dipendenti, la scuola locale, favorendo il diffondersi del proprio know-how), mentre la famiglia ha il dovere di far sì che l’azienda mantenga questo obiettivo, perché se l’azienda è sana ed indipendente dai bisogni della famiglia, la famiglia stessa ne trarrà sempre beneficio.

E.:   Queste eccezioni sono - appunto - eccezioni: per l' imprenditore nostrano conta più la famiglia dell'impresa, e questo lo si vede in tutte le aziende padronali piccole e persino in qualche azienda grande: se l’azienda fa utili, l’imprenditore cerca di nasconderli e trasferirli nel proprio patrimonio; se un’azienda va male, l’imprenditore è sempre molto riluttante a rimettere in azienda i capitali della famiglia, anzi, in qualche caso aggrava il dissesto tentando di sottrarre ulteriori beni.

W.: Quindi mi vuoi dire che nelle piccole aziende italiane, l’etica aziendale è subordinata ai bisogni e ai “capricci” della famiglia dell’imprenditore?

E.:   Certo! Sarò pessimista, ma ho visto tanti imprenditori fare scelte aziendali, che poi si sono rivelate deleterie, pur di non perdere privilegi per sé o per i propri familiari.

W.: E con questo vuoi dire che le imprese grandi sono più etiche? E le banche? Cosa mi dici delle banche?  Anch’esse sono imprese, anzi sono tutte grandi imprese, ma sono tutte additate come quelle che adottano un comportamento anti etico per definizione

E.:   Vedi, hai ragione, ma anche le banche rientrano nella visione di Apollinare Veronesi: anche le banche dovrebbero fare un profitto “sano”, invece non lo fanno: le banche vivono e campano sempre più di finanza ed arbitraggi e non si dedicano al loro oggetto sociale, cioè raccogliere denaro dai risparmiatori e prestarlo alle imprese clienti.

W.: Beh, però è una storia che si ripete, perché in passato molte banche hanno fatto profitti vendendo ai propri clienti prodotti derivati il cui unico vantaggio era a favore della banca stessa. Oppure si è preferito finanziare il singolo immobiliarista o l’assicuratore in modo cospicuo e abbondante piuttosto che dare tanti piccoli finanziamenti a tanti piccoli imprenditori, operazione laboriosa e che richiede la visione del banchiere e non del bancario.

E.:   Amico mio, il profitto “sano” si genera con l’etica sia nei comportamenti, sia nelle visioni strategiche: pensa all’ uso della Borsa fatto dal sistema bancario italiano per coprire i propri aumenti di capitale: le banche fanno grandi “battages” pubblicitari per sé e contemporaneamente scoraggiano le imprese clienti ad utilizzare la borsa per raccogliere denaro non supportando né facilitando i loro aumenti di capitale. E’ chiaro che così facendo la Borsa non potrà mai diventare un canale di raccolta di capitale per le aziende italiane.

W.:  Concordo: la Borsa Italiana, che è formata da 283 società quotate, capitalizza circa 350 miliardi di euro; le 19 banche quotate capitalizzano assieme 56 miliardi circa; se a queste si aggiungono le 7 assicurazioni, si ottiene che l’8% delle società sono del settore bancario-assicurativo ma tutte assieme fanno il 25% circa dell’intera capitalizzazione di borsa; addirittura 3 sole società quotate (2 banche e 1 assicurazione), cioè l’1% delle società quotate, fanno il 15% dell’intera Borsa italiana, che peraltro è più molto piccola persino della borsa spagnola.

E.:   E tu così mi hai dimostrato come per far profitti  – profitti “non sani” - le banche usano il denaro dei risparmiatori non solo preso come deposito ma anche come capitale di rischio!

W.: Allora le banche e  le imprese devono convertire la via del vizio in un cammino di redenzione?

E.:   Mio caro amico, non c’è bisogno di scomodare la religione, per ripartire occorre una svolta semplice semplice: le banche devono tornare a fare le banche e gli imprenditori devono guardare all’impresa come uno strumento di creazione di ricchezza non solo per sè ma per gli “stakeholders”.

W.:  Solo che nelle banche sono rimasti in pochi a sapere valutare il merito creditizio di un imprenditore e nelle imprese si è persa la voglia di ricercare il profitto nel medio periodo e si guarda solo agli utili di brevissimo termine.


E.:   Etica e comportamento morale generano fiducia, e la fiducia contempera il rischio. Quindi in un mondo fermo, un comportamento etico può facilitare una ripresa economica molto più di tante cd. “leve finanziarie”. E, nonostante il pessimismo sul piccolo imprenditore, esempi come Apollinare Veronesi dimostrano che anche il codice genetico dell’Italia è ancora sano e la svolta può anche essere imprevedibile!
BANCHE, IMPRESE E CAPITALI
Ottobre 2011

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:  Caro amico, oggi ti vedo un po’ assente, etereo. Spiegami il tuo distacco preoccupato.

E.:   Mi sento in una specie di  limbo da un anno e mezzo. Non siamo finiti all’inferno, ma non siamo in paradiso, e più che in purgatorio, come diceva il poeta, stiamo come le foglie d’autunno sugli alberi: non vedi che da ormai molto tempo i nostri imprenditori stanno fermi al nastro di partenza, presi dai loro timori, con poco coraggio?

W.:  Ce lo siamo già detti tante volte: il sistema bancario ha ridotto gli impieghi, il centro dell’economia si è spostato ad Est e i nostri imprenditori non hanno le dimensioni sufficienti per competere in quelle aree.

E.:   Sì, ma l’Italia ha l’animus dell’imprenditore, è parte del nostro codice genetico, ci siamo inventati le cd “multinazionali tascabili”, eppure, mentre il resto del mondo gira a gran velocità, noi ci muoviamo al rallentatore, come se mancasse non solo l’energia, ma ci fosse un freno tirato. E  secondo me, il freno tirato è la mancanza di capitali: capitali di rischio soprattutto, e mancanza di un sistema vero per raccogliere i capitali di rischio.

W.: Ma non esistono i fondi di private equity, la Borsa con i suoi segmenti STAR, MTA, AIM, le cd. “SPAC”, le “investing companies” i fondi mezzanini? E poi l’Italia non è uno dei paesi a maggior tasso di risparmio?

E.: Certo, è tutto vero, ma proprio nel momento in cui è necessario canalizzare il capitale verso le imprese,  l’Italia sta subendo un effetto che mio figlio - che lavora in una filiale italiana di una banca estera (eterea come il mio spirito attuale)-  definisce di “spiazzamento”: il risparmio viene scientemente convogliato verso due soggetti che sono lo Stato, che deve finanziare il deficit, e le banche, che sono state obbligate a lanciare aumenti di capitale imponenti

W.: La copertura del fabbisogno dello Stato è ormai cosa secolare, finchè non avremo un Quintino Sella o un Giolitti difficilmente torneremo ad essere un paese virtuoso, ma spiegami perché mi parli delle banche, dimmi perché nuocciono alle imprese: non dovrebbe essere il contrario? Banche più solide possono finanziare di più e meglio i propri clienti!

E.: Torna con la memoria alla Tempesta Perfetta del Settembre Rosso 2008, quando una grande banca americana fallì facendo saltare la diga della finanza di carta e della fiducia interbancaria: cosa fecero all’epoca le banche? Chiesero ai loro clienti, in modo forsennato e selvaggio, di rimborsare i finanziamenti in essere e negarono nuovi fidi. Qual è stata la lezione appresa sulla pelle da parte dei nostri imprenditori? Che delle banche non ci si può fidare, che i prestiti vanno presi con molta attenzione e che se occorre avviare una qualche iniziativa, i capitali di rischio, il cd. “equity”, sono l’unico mezzo per essere sereni. Quindi “no equity, no party”!!

W.: Meglio, no? Avremo imprese più solide e meno indebitate.

E.: Non sono d’accordo, caso mai avremo sì imprese più solide, ma avremo anche molte meno imprese, perché l’Italia è sottocapitalizzata, manca l’equity: manca sia nelle aziende familiari, sia nelle aziende di proprietà dei fondi di private equity che le comprano con leve gigantesche; caro amico mio le imprese italiane sono piene di debiti il cui rimborso non consente di fare i nuovi e necessari  investimenti per competere con il resto del mondo.

 W.: Sono sempre i solti discorsi, ma spiegami perché la borsa non funziona per portare i capitali di rischio alle imprese

E.:   Perché la borsa italiana oggi finanzia per oltre due terzi il sistema bancario e  le aziende di Stato; in più abbiamo voluto come paese entrare nel club dei potenti, e chiedere il governo della Banca Centrale Europea, e questa mossa è stata una vera sciagura.

W.:  Non capisco, avere un italiano al vertice della banca centrale significa non solo prestigio ma poter influenzare le decisioni di politica economica e monetaria anche a favore del nostro paese.

E.:  Amico mio, i quarti di nobiltà si pagano da sempre e, come nella Serenissima Repubblica di Venezia, l’iscrizione nel Libro d’Oro ha un prezzo elevato: il prezzo è stato che il sistema bancario ha dovuto dimostrare senza ombra di dubbio di essere forte e solido; in altre parole il prezzo è stato un irrobustimento, secondo me esagerato, della patrimonializzazione delle banche costrette da Bankitalia a lanciare aumenti di capitale a tutto spiano: si parla di oltre 11 miliardi di Euro, una manovra economica!

W.: Hai ragione! A dimostrazione di quanto hai detto e della loro scarsa utilità, una banca belga che aveva un cor tier del 12% è fallita negli scorsi mesi mentre le nostre modeste banche con un cor tier dell’8% sono vive e vegete.

E.:   Inoltre se tieni presente che il risparmio nazionale è stabile, è chiaro che i soldi dati alle banche non potranno andare a sostenere nuove quotazioni e aumenti di capitale del sistema impresa. Invece avrebbero dovuto fare il contrario, perché con imprese clienti più solide il loro rating sarebbe migliorato e di molto.

W.: Ma forse ciò che tu dici sarà vero nel brevissimo termine, però  un sistema bancario solido garantisce stabilità nella gestione del risparmio e che l’economia non si blocchi per cause finanziarie.

E.: Può darsi che nel lungo termine la stabilità finanziaria sia raggiunta, ma nel breve si potrebbe avere una forma di soffocamento delle imprese. Insomma, ne vedremo delle belle: banche solide ed imprese gracili, prede a disposizione degli stranieri o comunque destinate al piccolo cabotaggio.

W.: Ma una delle imprese alimentari italiane del settore lattiero caseario più solide e con più soldi in cassa di tutti i suoi concorrenti è stata comprata da uno straniero, invece, secondo il tuo ragionamento sarebbe dovuto avvenire il contrario.

E.: Considera la proprietà di quell’impresa, fatta solo da investitori istituzionali pronti sempre a rivendere se c’è un profitto e considera il resto del settore alimentare italiano, fatto da imprenditori privati tutti indebitati con le banche. Al momento di creare la cordata nazionale per la difesa del “suolo sacro”, nessuno si è fatto avanti, proprio perché nessuno aveva le finanze necessarie.
 
W.: Insomma, il vero problema che tu vedi è la mancanza di capitale di rischio da parte delle imprese, e il fatto che il sistema finanziario italiano è indirizzato a fornire capitale solo alle banche; ma perdonami, le imprese generano profitti, quindi cash-flow, quindi si creano il loro capitale


E.:   È vero, ma l’Italia oggi ha poche imprese in settori ad alta profittabilità, quindi in Italia si genera troppo poco profitto. Non ci resta che sperare nel codice genetico dell’imprenditore italiano, che, di fronte ad un mondo più difficile, si dia quel colpo di reni che ha sempre contraddistinto il nostro paese in queste occasioni. E la speranza, in questo caso, è quasi una certezza!
BANCHE, IMPRESE E TERRITORIO
Ottobre 2010

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, vedi com’è bella la campagna? Al mondo è successo di tutto, ma i fiori in primavera, e le messi d’estate con la pioggia o con il sole, crescono sempre. Come mai ti sei vestito in giacca e cravatta come un cittadino?

E.:   Perché sono stato all’assemblea dei soci della nostra banca di credito cooperativo. Sai cosa mi hanno detto? Che, sulla base delle statistiche di Bankitalia, il sistema italiano del credito cooperativo equivale alla terza banca italiana e che nel 2009 il volume degli impieghi è aumentato del 6% contro una media nazionale del 2%.

W.:  Quindi vuol dire che il resto del sistema bancario ha ridotto gli impieghi. Ma come ti spieghi tutto ciò?

E.:   Molto semplice, le banche grandi hanno finanziato le imprese quando l’economia girava e poi si sono trovate esposte alla “tempesta perfetta dell’ Ottobre Rosso 2008”; le banche piccole invece, forti di una raccolta solida, avevano nel 2009 riserve di liquidità accumulate da erogare come finanziamenti alle imprese più meritevoli e così hanno fatto. Hanno perciò dato una mano alle imprese medio-piccole nello stesso momento in cui le grandi banche negavano o addirittura revocavano i fidi.

W.: Ma non si diceva che “grande è bello”, che le piccole imprese (e quindi anche le banche piccole) erano destinate a scomparire, che la moda era “think global” etc. etc.?

E.: Su quanto successo nel 2008 e nel 2009 stanno già scrivendo tonnellate di libri e facendo migliaia di analisi statistiche, ma noi siamo qui al bar e vediamo il mondo dal nostro punto di vista.

W.: E’ vero, a me interessa che i miei soldi siano depositati presso chi poi me li restituisce e mi consiglia eventualmente come meglio investirli sapendo che al sabato ci incontriamo in Piazza Maggiore e ci guardiamo negli occhi. Ai nostri amici vicini di casa che fanno gli imprenditori e che hanno bisogno di finanziamenti interessa avere a che fare con una persona fisica, reale, che capisca i loro bisogni non con un “banker avatar” che ragiona con il rating invece che con la testa!

E.:   Ti dirò di più, dai nostri amici imprenditori che lavorano con le banche sento sempre dirmi due cose: in primo luogo che la banca deve parlare la loro lingua e non sbiascicare in inglese, soprattutto quando si parla di gestire il risparmio personale, e in secondo che quando occorre veramente parlare in inglese, cioè accompagnare l’imprenditore all’estero, la banca non inizi a parlare in dialetto.

W.:  Tu dimmi invece, cosa ne pensi, cosa succederà adesso?

E.:   Caro mio il mondo è difficile, ma è anche semplice, hai visto cos’è successo nel 2008: è fallita una banca e le banche non si sono più fidate di loro stesse ed è venuto giù il mondo e lo sai perché? Perchè oggi il mondo è interconnesso ad un punto tale che, come dicevano in televisione basta che un mandarino alzi un dito perché un uomo muoia a mille chilometri di distanza. L’interconnessione, il possesso delle informazioni e la loro velocità di diffusione sono il fattore critico di successo.

W.: Ma noi, in Piazza Maggiore, saremo sempre esclusi allora….

E.:   No, ormai il problema è superato, abbiamo internet, la tv satellitare, il cellulare; il vero problema è la lentezza di reazione, nostra e del nostro sistema imprenditoriale: gli imprenditori per sopravvivere devono affrontare i medesimi rischi che affrontavano i mercanti veneziani del ‘300 e ‘400: andare dall’Europa in Asia, conoscere anche quel territorio, istituire non più fondachi ma stabili organizzazioni industriali e commerciali, affrontare realtà usi e costumi diversi, avere proprie persone che, come Marco Polo, risiedono in quei territori per anni.

W.: E’ vero, manca il coraggio; non lo vedi anche tu che il sabato i nostri imprenditori non sono in giro per il mondo a caccia di clienti ma vengono qui in Piazza a fare “le vasche”? quando vanno all’estero al massimo vanno al mare in Costa Azzurra o alle famigerate Maldive! Siamo un paese di vecchi, ci manca la spinta per andare là dove il mercato c’è e cresce: Asia, Africa, Sudamerica.

E.:   Guarda che a frenare anche chi ha ancora  il “fuoco interiore” è il nostro sistema, sia il pubblico sia le banche, che ragionano da vecchi: ci sono alcune statistiche che dicono che in Italia, l’età media degli alti dirigenti bancari sia di 53 anni circa , mentre in India sia intorno a 40 anni.

W.:  Le classifiche su come è difficile fare impresa in Italia rispetto ad altri paesi non si contano più. Ma la borsa e il private equity? Non dovrebbero aiutare l’imprenditore?

E.:   Anche sul private equity ci sono libri interi.. ma sulla Borsa Italiana ti riporto solo un dato che mi ha raccontato mio figlio: sai quanto capitalizzano assieme le società quotate che compongono il cosiddetto indice FTSE MIB cioè la “crema delle imprese italiane? All’incirca 450 miliardi di Euro; ebbene sai quanto pesano in tale indice l’insieme delle imprese private (cioè né banche né imprese dello Stato Italiano)? Il 33,6%. Vuol dire che la borsa serve solo a raccogliere capitali per il sistema bancario o per lo Stato….  Eppure continuo ad essere ottimista.

W.: E perché?

E.:   Perché l’imprenditore italiano è un animale con un codice genetico eccezionale: ti pare possibile che il maggior produttore mondiale di attrezzature per ginnastica sia italiano mentre la patria del fitness sono gli USA? Ti pare possibile che solo in Italia ci sia il fenomeno delle “multinazionali tascabili”?

W.: Quindi qualche imprenditore fa come i mercanti veneziani nel ‘300, ma cosa sarà degli altri?

E.: Che impareranno, e che, con fatica ma ingegno anche loro dovranno adeguarsi ad un nuovo mondo il cui baricentro si sta spostando dall’Europa e America del Nord all’Asia e al Sudamerica. Dovranno avere in mente che il loro territorio di caccia è più complesso di una volta.

W.: E le banche?

E.:   Qui sono un po’ meno ottimista, perché ancora oggi le banche ti seguono, ma sempre con il famigerato “salvo buon fine”, perché non credono alla borsa e quindi non sostengono gli aumenti di capitale dei loro clienti ma solo i loro, perché continuano a dar troppo peso alle garanzie e meno al business e alla bontà dell’organizzazione. Però anche loro, vedrai, dovranno seguire la clientela e, controvoglia si adegueranno

W.: Ma allora significa che tarperanno le ali alle capacità dei nostri imprenditori?


E.: Forse sì, forse no, lo vedremo dalla crescita delle “multinazionali tascabili” in rapporto alla crescita degli impieghi delle banche di credito cooperativo: se le prime aumenteranno, saremo un paese virtuoso, se aumenteranno i secondi, non saremo un paese di imprenditori, ma rimarremo uno dei più bei paesi dove vivere e serenamente invecchiare!