giovedì 3 aprile 2014

IMPRESE, BANCHE, FEUDALESIMO E GENETICA
Aprile 2014

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:   Caro amico, sei in giacca e cravatta, non dirmi che sei già stato all’assemblea della tua banca di credito cooperativo per l’approvazione del bilancio del 2013!?

E.:   Ho partecipato all’assemblea della banca non per approvare il bilancio, ma per deliberare un aumento di capitale sociale improcrastinabile.

W.: Perché anche le banche di credito cooperativo devono soddisfare i requisiti di Basilea 3?

E.:   No, molto più banalmente, abbiamo dovuto aumentare il capitale per coprire un’importante perdita su crediti causata dal fallimento di un grosso cliente della banca e, se non avessimo provveduto subito, la Banca d’Italia ci avrebbe commissariato.

W.:  Tutte le banche stanno soffrendo perdite su crediti ingenti, capirai, dopo 6 anni di recessione mi sembra normale.

E.:   No amico mio, nel nostro caso non è normale che un singolo cliente affossi il lavoro di centinaia di dipendenti e di fiducia accordata a centinaia di piccoli imprenditori, artigiani e risparmiatori, soprattutto quando il cliente in questione è anche un socio della banca ed amico del Presidente.

W.: Io guardo sempre all’economia dei sistemi e alle loro dinamiche, ma quando dai discorsi generali si scende nel particolare non capisco. Che razza di banchiere è il vostro presidente? Come mai non si è accorto che il suo amico, nonché socio della banca, era così messo male da fallire?

E.:   Vedi, la conoscenza personale ha fatto prevalere le decisioni rispetto ai rating. Nella nostra economia di relazioni, se sei “amico” dei vertici godi della fiducia che nessun bilancio e/o rating ti può dare.

W.: E’ strano quanto mi dici, quello che so e che vedo è che quando un imprenditore  entra in banca il funzionario, prima ancora di guardarlo in faccia, prende i suoi bilanci e li sottopone a rating e poi sulla base di quel voto, quale che sia l’esattezza dell’analisi, lo classifica, praticamente per sempre.

E.:   Vedi, in parte è così, anzi, è così per l’imprenditore piccolo, ma per l’imprenditore medio o per l’imprenditore grande la situazione è molto diversa. E’ come essere iscritti al Libro d’Oro della Nobiltà della Serenissima Repubblica di Venezia: se fai parte del ristretto giro, perché sei amico del doge oppure perché siedi in un posto di Consigliere d'Amministrazione di una banca, una fondazione o un organismo di quelli che vengono denominati “istituzionali”, allora per te il rating non serve. E se sbagli puoi esser sicuro che non sarai mai sottoposto ad alcuna azione di responsabilità.

W.: In questo devo darti ragione, altrimenti non si capirebbe come mai certi banchieri saltano da un istituto ad un altro come grilli e, nonostante i bilanci – grazie alle loro gesta - evidenzino perdite importanti, nessuno né risponde mai, così come alcuni imprenditori, che hanno bilanci poco chiari ed evidenziano indici di bilancio a rischio, riescano invece ad ottenere crediti e finanziamenti ingenti e a condizioni di tasso molto particolari.

E.:   Ti dirò di più, tutto questo accade perché le banche italiane sono state fortemente intaccate dalla crisi e loro stesse hanno subìto una ristrutturazione organizzativa interna che ha livellato al ribasso la qualità del personale bancario. E non essendo più in grado di operare basandosi sui propri sistemi di rating, i vertici preferiscono fidarsi dei propri rapporti personali.

W.: Beh, in effetti la BCE, negli indicatori strutturali sui sistemi bancari europei ha evidenziato una riduzione del 5,6% dei dipendenti dal 2008 ad oggi a livello europeo, ma la riduzione in Italia è stata nello stesso periodo quasi del doppio.

E.:   Questo significa che in un periodo di crisi come quella scatenata della “Tempesta Perfetta del Settembre Rosso del 2008”, le banche hanno accentrato ai vertici ogni processo decisionale, azzerando le capacità di intervento a livello periferico e trasformando molti banchieri in semplici bancari. Il virus della perdita di fiducia interbancaria, che si è evoluto in una crisi di sistema senza precedenti, ha intaccato le capacità “motorie” delle banche italiane.

W.  E’ vero, praticamente ne ha modificato la struttura genetica: le banche si sono trasformate da organismo flessibile in grado di operare sul territorio con ricadute positive sia sui propri conti economici sia sugli Stakeholders, ad organismo monolitico a difesa di se stesso. Sai che una delle prime banche italiane ha sostanzialmente azzerato la sua capacità operativa sui mercati azionari? Addirittura ha trasferito la sala trading all’estero?

E.: Vedi, ma ti rendi conto cosa è avvenuto? Le banche, a partire dalle più grandi, hanno ridotto la loro attività di intermediazione sui mercati azionari proprio in un momento come questo che invece dovrebbe essere l’era del capitale di rischio.

W.: Che strano paese l’Italia: le banche operano solo con controparti del loro rango, e le piccole imprese devono far da sole e sono abbandonate. Come nell’era feudale, i nobili avevano privilegi e sinecure, i plebei erano sottoposti ad angherie ed ingiustizie. E la nobiltà era refrattaria alle innovazioni, perché avrebbe comportato un rischio di perdita dei propri privilegi.

E.: In fondo la creazione di mercati mobiliari nuovi, come l’AIM, l’ExtraMot Pro sono innovativi per il nostro paese, perché mettono nelle condizioni gli imprenditori di medio-piccola dimensione di poter raccogliere capitali senza l’intermediazione bancaria, creando così una forma di “spiazzamento” per il risparmiatore che non ha più solo il canale bancario dove canalizzare i propri risparmi.

E.:   Però gli imprenditori non stanno sfruttando appieno questo “illuminismo capitalistico”, oggi molti sono i segnali di una resa psicologica della classe imprenditoriale: gli investimenti languono, si preferiscono le rendite di posizione, non si fanno più programmi. Poi c’è anche lo stato italiano, che è il primo a smorzare gli entusiasmi dell’imprenditore. Quindi se si investe poco non si cercano capitali di rischio.

W.: Da un lato hai ragione, anch’io incontro qui al bar molti imprenditori che non ne vogliono più sapere di investire in Italia, che appena possono aprono conti bancari all’estero o non rimpatriano i profitti fatti dalle controllate. Ciononostante le imprese che operano con l’estero vanno avanti e stanno investendo. Inoltre l’AIM, il segmento di borsa per le PMI che oggi conta 41 società, è cresciuto in 2 anni di oltre il 100% con più di 21 aziende quotate di cui 15 solo nel 2013, mentre al segmento di borsa principale nel medesimo periodo ci sono state solo 3 quotazioni. E queste nuove quotazioni sono state permesse dalla presenza sempre più importante dei grandi investitori istituzionali, i fondi d’investimento aperti, i fondi pensione, i fondi stranieri.

E.: Insomma, dal capitalismo di relazione ed incestuoso stiamo andando verso un capitalismo ragionato e razionale ?


W.: Forse è un po’ presto dire che l’imprenditoria italiana si sta affrancando da un sistema bancario degenerato e portatore di handicap, ma l’evoluzione darwiniana sta compiendo i suoi passi e  non è da escludere che sarà lo stesso DNA degli imprenditori a far guarire i nostri malaticci banchieri!

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