IMPRESE, BANCHE, FEUDALESIMO E GENETICA
Aprile 2014
(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di
Piazza Maggiore in un paese di Provincia)
W: Caro amico,
sei in giacca e cravatta, non dirmi che sei già stato all’assemblea della tua
banca di credito cooperativo per l’approvazione del bilancio del 2013!?
E.: Ho partecipato
all’assemblea della banca non per approvare il bilancio, ma per deliberare un
aumento di capitale sociale improcrastinabile.
W.: Perché anche le banche di credito cooperativo
devono soddisfare i requisiti di Basilea 3?
E.: No, molto
più banalmente, abbiamo dovuto aumentare il capitale per coprire un’importante perdita
su crediti causata dal fallimento di un grosso cliente della banca e, se non
avessimo provveduto subito, la Banca d’Italia ci avrebbe commissariato.
W.: Tutte le
banche stanno soffrendo perdite su crediti ingenti, capirai, dopo 6 anni di
recessione mi sembra normale.
E.: No amico
mio, nel nostro caso non è normale che un singolo cliente affossi il lavoro di
centinaia di dipendenti e di fiducia accordata a centinaia di piccoli
imprenditori, artigiani e risparmiatori, soprattutto quando il cliente in
questione è anche un socio della banca ed amico del Presidente.
W.: Io guardo sempre all’economia dei sistemi e alle
loro dinamiche, ma quando dai discorsi generali si scende nel particolare non
capisco. Che razza di banchiere è il vostro presidente? Come mai non si è
accorto che il suo amico, nonché socio della banca, era così messo male da
fallire?
E.: Vedi, la conoscenza
personale ha fatto prevalere le decisioni rispetto ai rating. Nella nostra
economia di relazioni, se sei “amico” dei vertici godi della fiducia che nessun
bilancio e/o rating ti può dare.
W.: E’ strano
quanto mi dici, quello che so e che vedo è che quando un imprenditore entra in banca il funzionario, prima ancora di
guardarlo in faccia, prende i suoi bilanci e li sottopone a rating e poi sulla
base di quel voto, quale che sia l’esattezza dell’analisi, lo classifica,
praticamente per sempre.
E.: Vedi, in
parte è così, anzi, è così per l’imprenditore piccolo, ma per l’imprenditore
medio o per l’imprenditore grande la situazione è molto diversa. E’ come essere
iscritti al Libro d’Oro della Nobiltà della Serenissima Repubblica di Venezia:
se fai parte del ristretto giro, perché sei amico del doge oppure perché siedi
in un posto di Consigliere d'Amministrazione di una banca, una fondazione o un
organismo di quelli che vengono denominati “istituzionali”, allora per te il
rating non serve. E se sbagli puoi esser sicuro che non sarai mai sottoposto ad
alcuna azione di responsabilità.
W.: In questo
devo darti ragione, altrimenti non si capirebbe come mai certi banchieri
saltano da un istituto ad un altro come grilli e, nonostante i bilanci – grazie
alle loro gesta - evidenzino perdite importanti, nessuno né risponde mai, così
come alcuni imprenditori, che hanno bilanci poco chiari ed evidenziano indici
di bilancio a rischio, riescano invece ad ottenere crediti e finanziamenti
ingenti e a condizioni di tasso molto particolari.
E.: Ti dirò di
più, tutto questo accade perché le banche italiane sono state fortemente
intaccate dalla crisi e loro stesse hanno subìto una ristrutturazione
organizzativa interna che ha livellato al ribasso la qualità del personale
bancario. E non essendo più in grado di operare basandosi sui propri sistemi di
rating, i vertici preferiscono fidarsi dei propri rapporti personali.
W.: Beh, in
effetti la BCE, negli indicatori strutturali sui sistemi bancari europei ha
evidenziato una riduzione del 5,6% dei dipendenti dal 2008 ad oggi a livello
europeo, ma la riduzione in Italia è stata nello stesso periodo quasi del
doppio.
E.: Questo
significa che in un periodo di crisi come quella scatenata della “Tempesta
Perfetta del Settembre Rosso del 2008”, le banche hanno accentrato ai vertici
ogni processo decisionale, azzerando le capacità di intervento a livello
periferico e trasformando molti banchieri in semplici bancari. Il virus della
perdita di fiducia interbancaria, che si è evoluto in una crisi di sistema
senza precedenti, ha intaccato le capacità “motorie” delle banche italiane.
W. E’ vero, praticamente
ne ha modificato la struttura genetica: le banche si sono trasformate da
organismo flessibile in grado di operare sul territorio con ricadute positive
sia sui propri conti economici sia sugli Stakeholders, ad organismo monolitico
a difesa di se stesso. Sai che una delle prime banche italiane ha
sostanzialmente azzerato la sua capacità operativa sui mercati azionari?
Addirittura ha trasferito la sala trading all’estero?
E.: Vedi, ma ti rendi conto cosa è avvenuto? Le
banche, a partire dalle più grandi, hanno ridotto la loro attività di
intermediazione sui mercati azionari proprio in un momento come questo che
invece dovrebbe essere l’era del capitale di rischio.
W.: Che strano
paese l’Italia: le banche operano solo con controparti del loro rango, e le
piccole imprese devono far da sole e sono abbandonate. Come nell’era feudale, i
nobili avevano privilegi e sinecure, i plebei erano sottoposti ad angherie ed
ingiustizie. E la nobiltà era refrattaria alle innovazioni, perché avrebbe
comportato un rischio di perdita dei propri privilegi.
E.: In fondo la creazione di mercati mobiliari nuovi,
come l’AIM, l’ExtraMot Pro sono innovativi per il nostro paese, perché mettono
nelle condizioni gli imprenditori di medio-piccola dimensione di poter
raccogliere capitali senza l’intermediazione bancaria, creando così una forma
di “spiazzamento” per il risparmiatore che non ha più solo il canale bancario dove
canalizzare i propri risparmi.
E.: Però gli
imprenditori non stanno sfruttando appieno questo “illuminismo capitalistico”,
oggi molti sono i segnali di una resa psicologica della classe imprenditoriale:
gli investimenti languono, si preferiscono le rendite di posizione, non si
fanno più programmi. Poi c’è anche lo stato italiano, che è il primo a smorzare
gli entusiasmi dell’imprenditore. Quindi se si investe poco non si cercano
capitali di rischio.
W.: Da un lato hai ragione, anch’io incontro qui al
bar molti imprenditori che non ne vogliono più sapere di investire in Italia,
che appena possono aprono conti bancari all’estero o non rimpatriano i profitti
fatti dalle controllate. Ciononostante le imprese che operano con l’estero
vanno avanti e stanno investendo. Inoltre l’AIM, il segmento di borsa per le
PMI che oggi conta 41 società, è cresciuto in 2 anni di oltre il 100% con più
di 21 aziende quotate di cui 15 solo nel 2013, mentre al segmento di borsa principale
nel medesimo periodo ci sono state solo 3 quotazioni. E queste nuove quotazioni
sono state permesse dalla presenza sempre più importante dei grandi investitori
istituzionali, i fondi d’investimento aperti, i fondi pensione, i fondi
stranieri.
E.: Insomma, dal capitalismo di relazione ed
incestuoso stiamo andando verso un capitalismo ragionato e razionale ?
W.: Forse è un po’ presto dire che l’imprenditoria
italiana si sta affrancando da un sistema bancario degenerato e portatore di
handicap, ma l’evoluzione darwiniana sta compiendo i suoi passi e non è da escludere che sarà lo stesso DNA
degli imprenditori a far guarire i nostri malaticci banchieri!
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