venerdì 19 maggio 2023

Minacce e opportunità di Breve, Medio e Lungo termine per investitori accorti

 

minacce e opportunità di breve, medio e lungo termine per investitori accorti

Maggio 2023

 

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

 W.: Caro amico, ho visto che hai ripreso a lavorare, raccontami un po’ perché, da quasi pensionato, ti sei ributtato nel mondo della finanza.

E.: mio figlio si è messo in proprio, ha creato una società di gestione fondi ad Amsterdam, visto che la Brexit sta creando la fuga dei clienti verso il continente; una cd “boutique” e mi ha convinto che potrei essere bravo a servire il caffè ai suoi clienti.

W.: non ci credo, eri anche tu un analista e fine gestore di borsa, raccontami un po’ cosa vedi.

E.: i mercati in questi giorni viaggiano in modalità cd “chi va là”: piccoli rialzi e improvvise correzioni. L’economia a livello globale non va per niente male, le previsioni inizialmente molto caute sono in fase di revisione al rialzo da parte di tutti i centri studi macroeconomici (ad eccezione della Russia). Il risparmio globale, anche se è stato intaccato dal rialzo dei tassi, non sembra aver invertito la fase di creazione continua, almeno in Europa e nei principali paesi asiatici. Il problema sono gli Usa, dove, secondo alcuni recenti studi universitari, il rialzo dei tassi sta facendo bruciare quanto accumulato nel periodo pandemico. E in USA, che vive prevalentemente di consumi interni, si è registrato un forte e preoccupante incremento dei volumi di crediti al consumo.

W.: discorso lungo meriterebbe l’analisi degli effetti dei rialzi dei tassi e della conseguente – anche se ritardata - frenata dei prestiti da parte delle piccole banche che stanno riducendo le erogazioni per innalzare il livello di liquidità necessario a fronteggiare eventuali corse agli sportelli…

E.: è vero, ma tornando ai mercati dei capitali, scontati nei valori di borsa da un lato l’invasione dell’Ucraina e rialzo dei tassi e delle materie prime – già adesso in fase di forte correzione - e riavviato il sistema logistico internazionale dall’altro, i mercati borsistici dovrebbero riprendersi, e invece no.

W.: e come mai? L’andamento macroeconomico globale, in un qualche modo è anche confermato a livello microeconomico nazionale: anche in Italia, alcune analisi effettuate con il sistema “Leanus” sui bilanci del periodo 2017-2021 delle aziende con fatturato superiore a 5 milioni di Euro (oltre 5 mila aziende/gruppi di aziende) dimostrano che il 15% non ha più debiti finanziari, il 44% ha ridotto sensibilmente (oltre il 20%) l’indebitamento e solo il 3,5% ha aggravato la propria situazione patrimoniale (il che è fisiologico), mentre il cash flow operativo cumulato del campione è aumentato del 45%.

E.:  posso dirti che, nonostante ciò, il “sentiment” che viene riportato in Italia dagli organi ufficiali (ISTAT) non è molto positivo: a livello di imprese la fiducia sull’andamento futuro cresce in generale (di poco e solo da 2 mesi), ma all’interno si registra un calo nelle aziende manifatturiere.

W.: e questo non è un bel segnale per i mercati.

E.: hai ragione, e l’opinione che ho raccolto parlando con gestori di fondi e alcuni analisti di borsa è che questa situazione di “surplace” è figlia di una serie fatti recenti che possono alternativamente essere valutati come minacce o opportunità, senza che si sia ancora definito un vero trend dominante.

W.: entriamo nel vero cuore del problema: se devo investire come mi devo comportare?

E: se lo sapessi saremmo ricchi e mi sarei comprato tutti i bei palazzi del ‘700 che adornano la nostra piazza. Partendo da vicino, i fatti che possono provocare reazioni nel breve termine:

       Il primo fattore è il possibile default USA: è come un uragano che si avvicina alle coste della Florida e che poi – forse - si esaurisce. Il problema che resta, per gli europei, è la trimurti USD/T-Bond/competenza politica.

       Il secondo fattore è la combinazione tra inflazione, tassi di interesse e crescita. Oggettivamente, nessuno ha ancora capito se stiamo affrontando:

            i) una recessione deflazionistica,

            ii) una stagflazione,

            iii) un’espansione inflazionistica che sembra una recessione.

       Il “consensus” è verso quest’ultima opinione, perchè le economie occidentali si sono dimostrate resilienti e le politiche economiche dei principali paesi stanno seguendo – sostanzialmente – linee sensate. Resta il fatto che siamo sottoposti ad un’inflazione un po’ “appiccicosa”, cioè che non vuole scendere, ma con redditi che diminuiscono, il che fa sembrare il tutto una recessione. Le conseguenze sociali in futuro saranno sempre maggiori soprattutto se le disuguaglianze di reddito non verranno affrontate con politiche espansive basata sulla crescita della produttività e non sulle sovvenzioni (tipo, strumenti di cui si è verificata l’inefficacia come i superbonus o, peggio ancora, tossici come i cd C.C.F.…) .

W.: poi mi spiegherai cosa sono i CCF…

E.:   sì, ti anticipo che sono strumenti tossici di politica economica, ma ne riparleremo.

W.: ma a parte i problemi politici interni degli USA, cosa c’è d’altro che potrebbe esser visto come una minaccia o un’opportunità per gli investitori?

E.: il terzo fattore è la crescita del debito globale: a parte gli USA (sia a livello federale che a livello privato) il debito crescente è visto come un grande spauracchio, un moloch pronto ad aggredirci tutti: si parla di un debito globale di 300 milia miliardi di dollari USA (fonte: Institute of international Finance). Se si pensa che 25 anni fa (1998) il debito globale era inferiore a 75 mila miliardi di USD, il numero toglie il sonno. In realtà la situazione a livello mondiale non è così preoccupante, anche perché si contrappone ad una ricchezza finanziaria globale (cioè risparmio investito in asset finanziari) di 530 mila miliardi di USD (fonte BCG). A livello microeconomico, la situazione nei vari paesi è a macchia di leopardo: in Italia il debito corporate è diminuito, negli USA è aumentato, ma la redditività è più elevata negli USA che in Italia, quindi il debito è più sopportabile. Ergo, ci saranno un bel po’ di default, sia tra le aziende sia a livello di nazioni, come è successo in SRI Lanka e vari popoli avranno difficoltà. Troveremo soluzioni, perché non c’è una mega-crisi del debito globale, si passerà ad altro e il mondo si preoccuperà ancora del debito tra qualche anno.

W.: debito e risparmio si bilanciano, anche se avremo scompensi, ma cosa ne pensano i gestori degli eventi di questi mesi?

E.:  Il quarto fattore è proprio rappresentato dagli eventi geopolitici: l’attacco della Russia all’Ucraina sembrava dovesse scatenare una reazione epocale nel mondo. Invece l’egemonia USA e la dominanza del dollaro non si stanno riducendo significativamente. I mercati si rendono conto che non c’è alternativa alla liquidità del dollaro e dei titoli del Tesoro degli Stati Uniti. Ergo, il presunto affacciarsi del secolo cinese rimane ad oggi ancora presunto, perché anche la Cina non ha convenienza ad essere emarginata nel commercio verso i paesi più ricchi e uscire dalla catena di approvvigionamento dei paesi OCSE. D’altronde è più comprensibile che la Cina voglia continuare ad esportare i suoi prodotti verso gli USA piuttosto che verso stati – come Algeria e Nigeria – che, a parità di popolazione, hanno una capacità di spesa pro-capite infinitesimale. Il fattore “Taiwan”, forse, è l’unico elemento imponderabile che bilancia un ragionamento economico lineare con un sentimento nazionalista che è stato coltivato e fatto crescere nella popolazione dalle elites comuniste in modo imprevedibile e non controllato.

W.: quindi i valori di borsa scontano già questi fattori.

E.: infatti occorre alzare lo sguardo sul medio termine, per cui ci sono altri spunti che potrebbero influenzare i trend: il primo è sicuramente il cambiamento climatico: dal punto di vista microeconomico, il “climate change” è stato incanalato nelle pratiche aziendali cd “ESG”. È evidente che molte aziende (e anche molti stati) hanno fatto fino ad oggi del gran “green washing”: ma la sensibilità, soprattutto degli investitori istituzionali sta modificando le strategie di investimento: le attuali pratiche ESG, molto “gridate” con orgoglio un po’ falso, andranno a concretizzarsi in comportamenti più pratici e concreti, in cui il focus sarà il miglioramento degli standard di vita nel suo complesso, dallo “star bene” in azienda fino a sapere che ogni comportamento mitiga o riduce il danno climatico. Ci vorranno anni, occorrerà convincere i governi (che, su un obiettivo di medio termine, ci sentono sempre poco) ma la strada è intrapresa. L’elemento veramente positivo è che in cima a tutto ciò c’è una crescente consapevolezza che le aziende con una buona governance aziendale tendono ad avere una forte bussola morale e faranno le cose giuste per ottenere un ambiente migliore, una forte coesione sociale e un pianeta migliore: spostamento dalla Green Finance alla Good Finance… e gli investitori favoriranno le aziende e le operazioni che dimostrano di “fare la cosa giusta”. I problemi veri sono a livello pubblico/governativo, perché i politici rincorrono i sondaggi e sono guidati dalle filosofie “nimby”.

W.:  certo, l’Italia ha deciso di non produrre energia da fonti nucleari ma è circondata da centrali nucleari in Francia, Svizzera e Slovenia! Se pensi che a 300 km da Milano ci sono 3 centrali nucleari in funzione, e Venezia dista in linea d’aria 250 km dalla centrale slovena di Krsko… abbiamo i rischi ambientali delle centrali nucleari ma non i vantaggi. E continuiamo a produrre energia da carbone per alimentare auto elettriche….

E.:   il secondo fattore è il cambiamento tecnologico: L’IA, è la prossima vera rivoluzione industriale. Stiamo ancora cercando ci capire se sarà un beneficio o una minaccia esistenziale. L’evoluzione non chiede permesso e quando arriva, arriva. Vale la pena ricordare che l’evoluzione aziendale è una cosa rapida - poche aziende salgono in cima e rimangono lì per qualche decennio, poi iniziano a decadere. Con eccezione del settore bancario e del settore petrolifero (sic!), molte mega-corporations di fine secolo XX, oggi non ci sono più e alcune di queste, nate nei primi anni 2000 iniziano già a mostrare segni di cedimento. Nel settore high tech la salita-discesa, come un missile ipersonico, è ancora più rapida.

W.: insomma, sulle banche grandi si può essere tranquilli, sulle high-tech occorre investire ma star pronti ad uscire…

E.: direi che hai ragione. Ma stando invece in piedi su una scala per scrutare il lungo termine i problemi sono differenti: il primo grande problema di lungo termine è la Politica: la politica con la “P”  oggi rappresenta una minaccia a lungo termine in crescita. La qualità e le competenze dei politici stanno calando.

W.: qualche anno fa circolava un film intitolato “Idiocracy”; andrebbe fatto ripassare alla televisione per un mese intero ogni giorno. Una volta esisteva il “public service”, lo spirito di servizio alla comunità. Oggi la politica è carriera, da percorrere in fretta.

E.: hai ragione! Se prima la Politica e la Burocrazia (cioè i dirigenti pubblici) avevano obbiettivi concordanti oggi sono in perenne conflitto Il risultato è un crescente malcontento degli elettori che diventa disaffezione e perdita d’interesse. Il risultato sono opportunisti politici che cercano di cogliere il momento più adatto per lanciare campagne populiste, si gonfiano di voti alimentando le preoccupazioni, ma non offrono soluzioni reali: Brexit, l’Alt-Right o Trump sono state un fallimento in termini economici e/o di coesione sociale. Il risultato è un indebolimento costante del processo politico, che ha alimentato il disordine sociale e le divisioni interne nei vari paesi. Negli ultimi 20 anni la disuguaglianza di reddito è salita a livelli record, il famoso indice di GINI è schizzato ma pochi politici lo considerano realmente come un tema.

W.: insomma il risultato finale è che una politica instabile porterà a mercati instabili.

E.: il secondo grande problema di lungo termine è ancora una volta l’Ambiente: non solo il cambiamento climatico (indotto dall’uomo o provocato dalla natura), ma gli eventi climatici estremi diventeranno sempre più comuni, e i trend di lungo termine saranno difficile da modificare: gli oceani più caldi scateneranno più tempeste e cambieranno i modelli meteorologici con conseguenze profonde per l’agricoltura, le emigrazioni e conseguentemente per la Politica. Sicuramente possiamo investire per mitigare le conseguenze con processi di decarbonizzazione, di incremento delle fonti rinnovabili e i miglioramenti in agricoltura, ma è palese che si riveleranno sfide molto maggiori per i mercati, i governi e le economie rispetto al normale su e giù dei tassi di interesse…

W.: insomma, la ripresa lavorativa ti ha portato a fare importanti riflessioni su come investire i risparmi..

E.:   Se questi sono i fattori che nel breve, medio e lungo termine influenzeranno i mercati, come dice mio figlio occorre sempre ricordare che:

       A) L’investimento di successo è sempre comprare nelle tendenze.

       B) Il trading di successo è capire come i mercati le stanno giocando.

lunedì 22 giugno 2020

STATI, FINANZIAMENTO MES e MERCATI

giugno 2020

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W.: Caro amico, oggi per la prima volta ci prendiamo un buon caffè assieme, dopo tanti mesi!

E.: Sono felice di vederti, finalmente! Ma sono ancora più felice di poter riprendere a scambiare con te un po’ di idee e confrontarmi, perché non c’è niente di meglio per vivere bene che esercitare i muscoli, ma soprattutto il cervello.

W.: Raccontami caro amico mio cosa dice tuo figlio da Londra.

E.: Guarda, ogni volta che lo sento cerco anche di capire che lavoro in realtà fa, ma, secondo me, non lo sa neanche lui: compra e vende titoli che non sa come siano nati, come sono composti, segue e consiglia clienti investitori che sembrano organizzazioni di grande prestigio ma che in realtà hanno la stessa avidità dei bucanieri dei Caraibi. Però durante questi mesi mi ha mandato molti documenti e studi che girano nei suoi uffici e l’ultimo che mi ha girato sono le considerazioni sul finanziamento dal cd “MES”.

W.: Su questo, mi spiace ma ne so io sicuramente almeno quanto lui: il cd “ESM Pandemic Crisis Support” (EPCS) o anche finanziamento MES come viene chiamato in Italia, è stato definito dagli stati membri dell’UE il 23 aprile scorso e prevede che ogni stato membro possa ottenere un finanziamento che verrà erogato avendo come unica  condizione preliminare la presentazione di un  “Pandemic Response Plan” da parte dello stato richiedente, e come unica condizione un sistema di reporting limitato alla verifica dell’attuazione dei soli impegni inseriti nel “Pandemic Response Plan”. È stato anche pubblicato un term sheet, cioè un elenco preciso delle condizioni che regolano il prestito (https://www.consilium.europa.eu/media/44011/20200508-pcs-term-sheet-final.pdf). Da quanto si legge nel Term Sheet non sono previste altre condizioni.

E.: Lo so bene, ma saprai anche che l’importo massimo ottenibile è pari al 2% del PIL dello stato richiedente, da rimborsarsi in 10 anni; 

W.: In realtà il “Term Sheet dell’ “ESM Pandemic Crisis Support” pubblicato dall’UE dell’ 8 Maggio prevede una “maximum average maturity of 10 years”, quindi, considerando un rimborso a tranche  annuali di eguale importo, si potrebbe in linea teorica arrivare anche ad una durata nominale massima di 15 anni.

E.: Bravo, questo non l’avevo capito!

W.: Ti dirò anche di più: il tasso d’interesse sarà definito sulla base delle condizioni di mercato cui l’ESM andrà ad indebitarsi sui mercati internazionali che sarà maggiorato di spread e commissioni previste nel Term Sheet.

E.: Mio figlio ha ascoltato vari “webinar” sull’argomento e secondo il direttore finanziario del Mes, l’olandese Kalin Anev Janse, il costo “all-in” per una durata di 7 anni dovrebbe essere negativo, intorno a -0,07% annuo.

W.: Esatto, con questo strumento, qualsiasi stato membro potrebbe indebitarsi a 7 anni a tassi negativi: come sicuramente sai invece, oggi per un BTP a 5 anni, il Tesoro Italiano paga all’incirca 1,62% annuo (BTP Italia 20-25). 

E.: Mio figlio dice che un titolo di Stato italiano a 7 anni potrebbe essere facilmente collocato con una cedola di 1,65-1,70% annuo. Quindi è evidente il risparmio: con il MES il risparmio è superiore all' 1,5% all’anno, il che significa più di 3,7 miliardi. In pratica quasi il doppio di quanto quest’anno viene speso per l’Istruzione...

W.: Inoltre, poichè il finanziamento del MES è un finanziamento privilegiato rispetto agli altri debiti che lo stato membro ha contratto, ciò rende praticamente sicuro il rimborso; per questo motivo, il prestito dovrebbe avere condizioni di massimo favore persino rispetto al Bund tedesco. Sai, moltissimi esperti e pseudo esperti continuano a parlare di pro e contro all’utilizzo del prestito del MES: prima si gridava al fatto che sarebbe stato il “Cavallo di Troika”, cioè il grimaldello con il quale la fantomatica “Troika” avrebbe preso in mano le redini dell’Italia; poi, visto che non sono previste le cd “condizionalità” tanto temute, la discussione si è spostata sui costi.

E.: Lo so caro amico, molti economisti e pseudo-economisti si sono lanciati in paragoni e confronti dove hanno mischiato vecchie teorie con andamenti e dati di mercato, previsioni di medio termine con scenari puramente accademici, leggi e regolamenti non più validi con obiettivi politici di altro genere. In questo momento mio figlio infatti mi parla di molte discussioni che girano intorno alle condizioni economiche. 

W.: Ho letto le ultime teorie “contro” l’ EPCS: il costo “all-in” del MES dovrebbe essere significativamente al di sotto di una cedola persino di uno stato virtuoso come la Germania; i detrattori dicono, quindi, che l’Italia pagherebbe un prezzo troppo alto a favore del MES perché il MES è un creditore privilegiato e quindi è come se un privato prendesse un prestito dando un’ipoteca in garanzia, il che consentirebbe di abbassare il costo, cosa che in questo caso non avverrebbe. 

E.: Caro amico, come dice mio figlio, chi sa, fa; chi non sa, insegna; chi non sa insegnare fa politica. Ti replico con 3 obiezioni: in primis, un economista che dice ciò non tiene conto che il costo dell’EPCS che viene calcolato oggi non può essere paragonato al solo costo di cedola di un BTP. Ogni emissione di titoli comunque ha un costo di gestione che viene sostenuto direttamente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e che non è mai esplicitato, a partire dalla pubblicità e alla promozione che accompagna ogni emissione, fino alle commissioni che il Tesoro italiano paga alle banche collocatrici: la prassi applicata ad un emittente come l’Italia è pari a 0,30% sull’importo lordo emesso, ma in certe condizioni è arrivato anche a 0,40%. Peraltro tutti gli stati OCSE emettono titoli di governativi e tutti pagano commissioni di collocamento, per cui non si possono paragonare il solo costo di cedola al costo “all-in” esplicitato dal term sheet “ESM Pandemic Support”. Le pere vanno paragonate alle pere e le mele con le mele. Gli “all-in” dell’ EPCS va paragonato con i costi ”all-in” di un BTP 

W.: Per dimosrtrarti quanto ho studiato in questi giorni di lock-down, la “Up-Front Service Fee” richiesta dal MES è di 0,25%.

E.: E allora mi dai ragione, perché se si confronta il range di commissioni di collocamento dei BTP con la “Up-Front Fee” si vede come la convenienza aumenta ulteriormente a favore del finanziamento dal MES rispetto ad un’emissione di BTP di pari importo e durata. La seconda obiezione è che, comunque la si giri, lo Stato italiano non potrebbe mai ottenere lo stesso tasso d’interesse di questo finanziamento, perchè il rating italiano è sensibilmente peggiore rispetto alla Germania. Quindi indebitarsi a -0,07% è meglio che indebitarsi a +1,70%

W.: Sì, ma come ribatti al fatto che ad oggi la Germania emette titoli Bund rispetto ai quali, teoricamente, il finanziamento EPCS consentirebbe arbitraggi?

E.: La terza obiezione è che i confronti vanno fatti sul mercato al momento dell’accensione del prestito. Oggi invece tutti fanno congetture prendendo come riferimenti i valori di mercato attuali, ma non sappiamo se, quando l’Italia prenderà l’ “EPCS” dal MES, i costi “all-in” saranno pari o superiori a quelli che verrebbero sostenuti direttamente da altri stati membri UE che non si avvarranno di tale facoltà. È un modo semplicistico di fare analisi e confronti, tipico di chi vive di mercato per sentito dire. Ma sono discussioni sterili, perché come dice mio figlio prendere denaro a costo “all-in” negativo o a anche a zero è meglio che pagare un costo “all-in” (cedola più fees di collocamento, più altri oneri) superiore a 1,70% annuo. Il resto sono chiacchiere.

W.: Ovviamente non posso che darti ragione, ma secondo te cosa succederà al prezzo di tutti gli altri BTP in circolazione quando il MES erogherà questo finanziamento privilegiato? Perderanno valore?

E.: Esistono già dei precedenti, perché il MES ha già erogato finanziamenti ad alcuni stati membri dell’UE come la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda. Tieni conto che quei finanziamenti non solo erano privilegiati, ma avevano condizionalità significative, con tagli di bilancio, tasse e riforme. Ebbene, il prezzo dei loro titoli non ha risentito minimamente. La Grecia, che ha rimborsato un prestito MES nel 2018, oggi può emettere titoli governativi a condizioni migliori dell’Italia.

W.: Amico mio, grazie a tuo figlio e alla tua capacità di sintesi mi sono fatto un’idea più precisa.

E.: Ti riporto un Post Scriptum, una quarta obiezione: mio figlio mi ha fatto notare che ogni anno il Tesoro italiano colloca tra 350 e 400 miliardi di Titoli di Stato per rifinanziare il debito pubblico. Quindi circa 30/35 miliardi al mese. Non ha senso preoccuparsi di un finanziamento di 37 miliardi a 7 anni come l' "EPCS", rimborsabili in tranche annuali, che potrebbero essere rifinanziate con circa 440 milioni di Euro al mese di nuovi Titoli di Stato... Se ci fossero problemi di questo tipo, vorrebbe dire che l'Italia o è già fallita, o sarebbe già sotto la sorveglianza dell'UE.

W.: sì, ma tieni conto che, allo stato attuale praticamente quasi tutti i paesi UE (forse con la sola eccezione di Austria e Germania sarebbero già - ex lege - soggetti ad una procedura di monitoraggio e valutazione dei propri bilanci ai sensi del Reg. UE 473/20 (che con il 472 forma il c.d. Two Pack), che di per sé già espone al rischio di dover giustificare un peggioramento delle proprie condizioni e di porvi rimedio.(premesse 4 e 5 del Reg. UE 472/2013). ed è stata solo la sospensione dei vincoli di bilancio che consente all’Italia e ad altri stati membri dell’UE di non essere già sottoposti alla sorveglianza comunitaria.

E.: Come dice mio figlio, oggi siamo sostanzialmente già sotto sorveglianza: sia dal punto di vista giuridico, che dal punto di vista del mercato. Dal punto di vista giuridico la procedura ha i suoi fondamenti di legge sull'articolo 136 del trattato sull'Unione europea, che consente agli Stati membri della zona euro di rafforzare il coordinamento e la sorveglianza delle politiche di bilancio per garantire la necessaria disciplina di bilancio nell'Unione economica e monetaria. Per uscire da questo sistema di protezione, non basta occorre uscire dall’Euro ma, occorre uscire dall’Unione Europea.

W.: Ti rispondo io per la parte “mercati”, perché in questi mesi ho seguito molto le questioni finanziarie macro economiche: dal punto di vista finanziario abbiamo oggi un creditore che sta raggiungendo un livello di guardia pericoloso, e che è la BCE. Si stima che nel mese di Giugno 2020 BCE direttamente e tramite Bankitalia abbia superato l’importo di 400 miliardi, pari al 25% dell’intero debito pubblico italiano. Quando arriverà al 30%, basterà una posizione più attendista delle autorità monetarie a far oscillare al rialzo lo spread BTP/Bund e mettere il paese in ginocchio.

E.: Come vedi amico mio, nelle torri d’avorio delle aule accademiche si può parlare di tutto e di più, alcune volte si creano pensieri ed opinioni che poi diventano trend globali epocali, ma altre volte, rimangono pure discussioni accademiche: è di fronte ai monitor, dietro i torni e in mezzo alla merce nei magazzini che si crea l’economia reale.   

giovedì 12 dicembre 2019

LA GESTIONE DEL RISPARMIO CHE ABBANDONA L'ITALIA

Dicembre 2019
(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W.: caro amico mio, vedo che stai smanettando con il tuo tablet forsennatamente.

E.: sto controllando alcuni dati macroeconomici che mio figlio, ormai emigrato definitivamente, mi ha mandato. Mi piacerebbe tanto che tornasse in Italia, almeno potrei vederlo; sai, adesso se ne sta a Dublino a lavorare per la solita banca “ectoplasmatica” che non si sa cosa faccia esattamente.

W.: beh, hai la scusa per visitare un paese insolito, verde e ricco di fascino.

E.: ormai alla mia età faccio fatica a spostarmi; anche quando lui stava a Londra io sono andato a trovarlo poche volte, ma adesso che per via della Brexit stanno trasferendosi in Irlanda, sarà anche peggio.

W.: ma dimmi caro amico mio, come mai tuo figlio non cerca un posto di lavoro in Italia? Ormai è un professionista affermato.

E.: perché adesso si occupa di gestire fondi d’investimento di grandi investitori istituzionali e, poiché la concorrenza è feroce, oltre ad essere capaci, devi operare in paesi con fiscalità ridotta: dove lui risiede non c’è la Tobin Tax e non c’è l’imposta di bollo sui titoli, oltre ad avere una tassazione personale molto più bassa della nostra.

W.: conosco la Tobin Tax, è un’imposta sulle transazioni finanziarie che riguardano le azioni e i derivati.

E.: esatto, ma l’Italia è l’unico paese che l' ha applicata in modo importante dal 2013 causando così il declino del nostro mercato borsistico.

W.: ellapeppa! Che affermazione forte! spiegami questa tua convinzione.

E.: te la spiego con alcuni dati statistici: nel 2011 (prima dell’introduzione della Tobin TAX), la borsa di Milano aveva una capitalizzazione complessiva di 349 miliardi di Euro suddivisa su 328 società quotate, che avevano realizzato un volume di scambi pari a 709 miliardi di Euro (fonte: Borsa Italiana, statistiche storiche). Inoltre nel 2011 il FTSE Italia era pari a 12.259 punti.

W.: mi ricordo il 2011, l’anno in cui venne eletto Mario Monti.

E.: esatto! E fece non pochi disastri, come la tassa sui posti barca…  il governo Monti nel 2012 fece approvare l’introduzione della Tobin Tax a partire dal 2013, con l’obiettivo di raccogliere almeno 1 miliardo di Euro, invece ne arrivarono sì e no 400 milioni.

W.: insomma un bel flop.

E.: non solo un flop sul gettito, ma i volumi della Borsa di Milano si sono sempre più ridotti: nel 2018 la borsa di Milano (con la Tobin TAX) ha raggiunto una capitalizzazione di 542 miliardi di Euro (+55% rispetto al 2011) suddivisa su 452 società quotate (+38% come numero di imprese quotate rispetto al 2011, grazie anche all’estensione presso la borsa di Milano di oltre 25 società già quotate in altre piazze finanziarie) con un volume di scambi complessivi pari a 626 miliardi di euro (-12%).  Nel 2018 l’indice FTSE Italia aveva raggiunto i 16.815 punti (+37% rispetto al 2011).

W.: ok, inizio a capire ciò che vuoi dirmi.

E.: aspetta, solo per darti il quadro complessivo, i dati relativi a fine Novembre 2019 di Borsa Italiana vedono:

a) Una capitalizzazione di borsa salita a 642 miliardi.
b) Un numero di imprese quotate salito a 461.
c) Un indice FTSE Italia salito a 21.335.
d) Un volume di scambi sceso a 507 miliardi.

W.: valori di borsa saliti e scambi sempre più bassi.

E.: altro dato che devi tenere a mente: il risparmio gestito a fine Dicembre 2017 era pari a 2.089 miliardi di Euro, mentre ad Ottobre 2019 è salito a 2.275 miliardi di Euro (fonte: Assogestioni 2019).

W.: quindi, spiegami come ha fatto il valore della Borsa di Milano a crescere dal 2011 al 2018 del 55%, con una crescita dell’indice di borsa del 37%, ma con una riduzione del 12% del volume degli scambi? E poi, come mai anche fino a Novembre 2019 cresce la capitalizzazione di Borsa, cresce il numero di società quotate e anche gli indici salgono, ma si riducono gli scambi nonostante aumentino le masse gestite?

E.: e questo è solo il dato sulle azioni. Poi ci sono i derivati che abbiano come sottostante indici o azioni italiane (Futures, Opzioni, CFD, warrants, covered warrants e certificates) i cui volumi sono ancora maggiori. Ovviamente gli scambi si sono spostati all’estero, e il motivo – quasi esclusivo - è che all’estero non si paga la Tobin TAX (che colpisce le transazioni finanziarie delle società con una capitalizzazione oltre i 500 milioni di Euro) o si paga ma in misura molto più ridotta rispetto all’Italia (in UK non esiste, mentre Francia non si paga sui derivati e quella sulle transazioni azionarie è pure deducibile dall’imposta sui redditi). 

W.: allora è un bel problema.

E.: sulla base dei dati che ho raccolto, la Tobin TAX ha generato complessivamente 429 milioni di euro di gettito nel 2018, mentre a fine ottobre 2019 ha raccolto 298 milioni di Euro (-59 milioni rispetto ad Ottobre 2018 / fonte: MEF appendici statistiche al Bollettino sulle Entrate Tributarie gennaio-ottobre 2019 nr. 212).

W.: tu vedi questi numeri, ma dietro i numeri ci stanno le persone, ci sono imprese, c’è un’economia! Questi soldi sono serviti a finanziare lo stato, se non ci fossero state queste tasse avremmo avuto un altro buco finanziario.

E.: infatti ma devi pensare, proprio come dici tu, alle persone: c’è un buco umano e di qualità delle persone perché per ottenere questi 429 milioni di gettito (le aspettative nel 2013 erano di raccogliere oltre 1 miliardo di tasse), sai quante persone e quante imprese operanti nei servizi finanziari e di gestione del risparmio si sono trasferite all’estero?

W.: hai ragione: a Londra la comunità italiana è una delle più importanti (oltre 500 mila) e varie decine di migliaia di italiani si occupano a Londra e in Irlanda  di gestire risparmi, in buona parte risparmio italiano, così come a Parigi, Francoforte e in Svizzera.

E.: e questo è risparmio di grandi investitori istituzionali, è dichiarato a norma di legge, che però viene spostato e movimentato su piazze finanziarie che non hanno questo balzello. Poi tieni conto che la Tobin Tax è una tassa che inoltre non colpisce il cd “day trader” (cioè lo speculatore professionale) ma il cd “cassettista”.

W.: direi che invece di colpire lo speculatore, colpisce i veri risparmiatori.

E.: non solo, se i volumi degli scambi si riducono ma crescono i rendimenti, vuol dire che gli scambi avvengono da un’altra parte. Mio figlio ha stimato che 200 miliardi di Euro di soli scambi azionari che non si fanno a Milano significa oltre 2 miliardi di Euro in meno di ricavi da servizi finanziari (diretti ed indiretti) realizzate in Italia e migliaia di posto di lavoro di personale qualificato trasferitosi su altre piazze, Londra e Dublino in primis. Se poi consideri anche i volumi sui derivati, i numeri si moltiplicano.  E poi c’è l’indotto. Mio figlio stima un mancato gettito di oltre 1 miliardo.

W.: quindi significa che il mancato gettito da imposte dirette (Irpef e Ires) è di molto superiore a quanto ottenuto con questa tagliola. Quindi il buco finanziario è molto peggiore adesso di quando non c’era la Tobin Tax.

E.: per questo ti dico che il governo Monti ha rovinato un settore strategico per il nostro paese!

W.: in effetti hai ragione. L’Italia ha uno dei giacimenti economici  più importanti d’Europa: oltre ai beni culturali, ha il risparmio finanziario, che è di oltre 4.200  miliardi. Invece di rimanere in Italia se ne va – regolarmente e ufficialmente – all’estero, dove sostiene e fa fiorire un’industria formidabile, ricca e qualificata.

E.: c’è da pensarci….

lunedì 7 maggio 2018

RISPARMIO CHE FA CRESCERE IL PAESE

Maggio 2018
(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W: Caro amico, spiegami perchè stai sbuffando. 
E: sbuffo di noia e stizza perché siamo in una bellissima piazza di provincia, opulenta ed elegante ma sempre uguale e dove non succede mai niente di nuovo: una chiesa splendida, palazzi antichi che si affacciano maestosi e un po’ fatiscenti, ma sempre eternamente uguale.
W.: sì, ma è ciò che avviene in tutte le provincie italiane. Solo in primavera arrivano gli uccellini e alla sera cantano come se si incontrassero per la prima volta.
E.: non succede mai niente di nuovo non solo nelle piazze di provincia, ma anche nel mondo finanziario italiano: tante belle aziende, sempre più vecchie che non innovano e muoiono o rimangono piccole, tante persone ricche che invecchiano.
W.: spiegati amico mio, non ti capisco.
E.: proverò a passare dalla visione lirica ai fatti: la Banca d’Italia ha rilevato nella sua relazione annuale del 2017 che gli italiani hanno un patrimonio finanziario di 4.160 miliardi di Euro, oltre ad una ricchezza patrimoniale che è altrettanto grande se non superiore, e questa è l’equivalente della nostra piazza.
W.: beh, ciò significa che gli italiani stanno mediamente tutti bene. Ma cosa c’entra con le nostre piazze!?
E.: la ricchezza non è equamente distribuita, non tanto a livello geografico o sociale, quanto a livello anagrafico, tra vecchi che sono ricchi, e i giovani, che sono invece poveri: infatti nelle nostre piazze di provincia vedi solo palazzi antichi, tutti un po’ cadenti e pochissimi palazzi nuovi che peraltro non hanno lo stesso valore artistico e architettonico di quelli di una volta. Ecco perché sbuffo perché da noi non succede mai niente: finchè la ricchezza è così distribuita, continuerà a non succedere mai niente di nuovo. Ci sono paesi dove invece le piazze vivono perché si rinnovano, perché accanto ai palazzi antichi sorgono anche palazzi nuovi, e palazzi vecchi che vengono completamente rinnovati. 
W.: ma spiegami perché non dovrebbe succedere mai niente; se gli italiani hanno così tanti risparmi finanziari, che sono pari a quasi il doppio del debito pubblico del paese e a quasi 2,5 volte il PIL, significa anche che in un momento difficile possono riprendersi facilmente.
E.: e qui ti sbagli, e lo si può vedere da come l’Italia è uscita dalla recessione: mentre gli USA o la Germania si sono ripresi in pochi anni (gli USA dal 2011 e la Germania dal 2013), noi siamo tornati ad avere una crescita decente del PIL solo negli ultimi 2 anni, quindi con un ritardo di 5 anni rispetto alla Germania e quasi 7 anni dagli Stati Uniti.
W.: ma come mai siamo in questa situazione?
E.: vedi, i famosi 4.160 miliardi sono così distribuiti: 1.140 miliardi sono depositi bancari, quindi denaro che non frutta e sostanzialmente dorme e non muove il PIL. Tieni conto che a livello europeo è un'anomalia, nessun altro paese tiene così tanto denaro liquido non investito.... Gli altri 3 mila miliardi sono investiti in titoli di vario genere.
W.: proprio non ti capisco. Se solo mille miliardi sono in depositi bancari e, come dici tu, dormono, gli altri 3 mila miliardi sono invece messi a profitto.
E.: sì ma sono messi a profitto male e non aiutano la nostra economia a ripartire.
W.: continuo a non capirti.
E.: mio figlio, che nella banca di Londra dove lavora si occupa anche di analisi strategico-finanziaria dei paesi europei mi ha segnalato alcuni dati: Assogestioni ha rilevato nel suo ultimo bollettino di marzo 2018 che il risparmio gestito degli italiani è pari a 2.080 miliardi circa. Quindi 1.000 miliardi sono gestiti direttamente dalle persone fisiche, gli altri 2.080 sono in mano all’industria dei servizi finanziari. Un altro dato da tener conto per il mio ragionamento è che la Borsa italiana capitalizza (MTA + AIM) all’incirca 660 miliardi di cui circa 45 miliardi il valore complessivo delle aziende quotate allo STAR e circa 7 miliardi di imprese quotate all’AIM.
W.: adesso inizio a seguirti! Effettivamente l’Italia ha una borsa molto piccola, e se si considera che la sola APPLE capitalizza in Borsa oltre 800 miliardi di Euro, vuol dire che tutte le aziende italiane quotate valgono meno di una sola azienda americana! Ma la domanda vera, a questo punto è: dove finiscono i risparmi degli italiani?
E.: caro amico, vedo che mi stai superando nelle speculazioni da bar! Ti segnalo un altro dato: l’Ufficio studi di Unimpresa ha pubblicato nei primi mesi del 2018 un’analisi basata sulle statistiche di Bankitalia del 2017 in cui si evidenzia che oltre il 50% delle azioni delle società quotate è in mano a fondi esteri. A questo punto, se si considera che lo Stato e i vari Enti Pubblici (per società come ENI, ENEL, TERNA, Leonardo, A2A, etc) e alcune famiglie (Bombassei, Benetton, Delvecchio, Caltagirone, Berlusconi, Agnelli, Vacchi, etc.) controllano molte delle società quotate, i calcoli che ciascuno di noi può fare è che il risparmio italiano investito in titoli, i famosi 3 mila miliardi, investe sulla borsa del suo paese forse 200 miliardi, circa il 7% del proprio patrimonio…
W.: ho compreso dove vuoi arrivare! Da questi numeri emerge che il risparmio italiano non ha mai guardato alla Borsa nè come uno strumento di accrescimento della propria ricchezza, nè come strumento per far crescere il proprio paese. 
E.: esatto!  Quindi il risparmio italiano è stato incanalato in investimenti prevalentemente esteri (e in titoli di Stato, quindi a rendimento quasi vicino allo zero) favorendo in questo modo i paesi in cui quelle industrie hanno sede. 
W.: hai ragione. Un paese in crisi e malato si risolleva solo con un colpo di reni e con un po’ di energia, ma se l’energia del paese – cioè il risparmio – viene indirizzata altrove, il paese continua a rimanere malato!
E.: per questo ti dico che nel nostro paese non succede niente di nuovo, perché i palazzi sono vecchi, belli ma vecchi, e prima o poi  diventano dei mausolei fatiscenti e cadono, oppure li compra qualche straniero.
W.: effettivamente, se si guarda ad aziende come Gucci, Loro Piana, Bulgari, tutti nomi bellissimi e finiti in mano a stranieri, il panorama è desolante. Persino Parmalat – una delle poche aziende strategiche dal punto di vista alimentare - è finita in mano a francesi e probabilmente finirà come Buitoni Perugina, che ha chiuso quasi tutti gli stabilimenti ed è rimasto solo il marchio.
E.: quelle aziende sono come i bei palazzi delle nostre piazze di provincia: diventano fatiscenti e poi arriva qualche straniero che li compra. Ma nuovi palazzi, cioè nuove imprese, non se ne costruiscono perché l’energia, cioè il risparmio va da altre parti.
W.: ma cosa si può fare?
E.: qualcosa si sta muovendo, soprattutto grazie alla legge sui PIR. Convertire la cultura esterofila di un paese richiederebbe una generazione, ma questa volta, grazie al fatto che i PIR sono esentasse, forse basterà qualche anno.
W.: allora speriamo di ritrovarci qui fra qualche anno e vedere, tra palazzi antichi qualche bel palazzo nuovo disegnato da un architetto di grido!   


giovedì 8 marzo 2018

BORSA CULTURA E CRESCITA DEL PAESE

 Marzo 2018
(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W: Caro amico, tu che come me, vivi in provincia e leggi i giornali locali e le notizie nazionali e internazionali sui siti web del mondo che mi dici di queste elezioni?
E: hanno vinto Lega e M5S perchè hanno toccato la “pancia del paese”; il problema, secondo me, non sono i sentimenti di un popolo, ma come questo popolo percepisce il mondo che gli gira attorno.
W: spiegati meglio mio caro amico, questi partiti hanno vinto perché hanno voluto contrastare la classe politica attuale della quale non ne possono più. Pensa solo a come hanno gestito le crisi bancarie: famiglie rovinate e presidenti di banche fallite ancora sorridenti e a spasso per il paese.
E: e qui ti sbagli. Il problema non è la gestione fatta dal governo di queste crisi ma la percezione che i cittadini ne hanno avuto: il cittadino comune ha percepito – a mio parere erroneamente - una gestione “opaca” volta a coprire i maggiorenti economici (Zonin, il padre di Elena Boschi, gli esponenti del PD senese, etc.) e non a tutelare il risparmiatore.
W: in pratica mi dici che il “common feeling” è stato che il governo e PD hanno voluto continuare a proteggere non solo la classe politica, ma anche la “casta economica”, mentre invece secondo te, hanno cercato, nei limiti imposti dalle norme europee di salvare i risparmiatori….
E: esatto, tieni conto che ai piccoli risparmiatori che avevano investito in obbligazioni subordinate emesse dalle banche fallite, lo Stato Italiano ha concesso un rimborso sostanziale. Altri paesi non lo hanno fatto… Ad onor del vero, ce ne hanno messo anche del loro: una commissione d’inchiesta presieduta da un “mammasantissima” come Casini, la nomina quale Presidente di Leonardo dell’ex capo MPS, considerato uno di quelli che ha affossato il titolo in Borsa di MPS, etc.
W: ti capisco in parte, perché comunque con i risparmi non si scherza e questi ultimi governi invece hanno giocato pesante.
E: in realtà il vero problema è la mancanza di cultura finanziaria ed economica sia livello politico sia molto più in generale a livello di paese. Il popolo italiano, fino al cd “Quantitative Easing” era sempre stato abituato a 2 comportamenti: A) investire in Bot e CCT con redimenti alti; B) affidarsi integralmente alle banche di prossimità per gestire i propri risparmi, considerando le banche di prossimità come l’unica garanzia di serietà.
W: su questo ti dò ragione: contare su un reddito sicuro del 3-4% annuo e di un funzionario di banca che parla il tuo stesso dialetto ha portato generazioni di investitori a dimenticarsi cosa significa gestire in modo attivo il proprio risparmio.
E: esatto! Il Quantitative Easing, che ha portato le banche centrali ad acquistare titoli di stato abbassandone il rendimento a zero, ha costretto i risparmiatori a rendersi conto che il reddito sicuro ma elevato non esiste, e che redditi elevati derivanti da obbligazioni subordinate comportano rischi che - nella vita - possono anche avverarsi.
W: resta il fatto che i governi e i politici niente hanno fatto per segnalare questi pericoli o addirittura impedire che ciò avvenisse.
E: il problema, caro amico non solo regole e vincoli, ma soprattutto la mancanza di cultura finanziaria dei cittadini. Mio figlio che continua a lavorare a Londra in una di queste banche eteree dove non si sa bene cosa sta comprando e cosa sta vendendo, mi dice che anche il gestore del pub sotto casa sua sa cos’è la differenza tra un’obbligazione ordinaria e un’obbligazione subordinata
W: hai ragione, anche perché la differenza non la conoscono neanche gli imprenditori italiani, né quelli grandi né tantomeno quelli piccoli o gli artigiani, o almeno, non la sapevano fino a pochi anni fa.
E: purtroppo in Italia la “finanza” e l’economia reale sono sempre state considerate come cose separate: il fatto che nella Borsa di Milano ci siano pochissime PMI, la dice lunga su come gli imprenditori vedono la “finanza”: la borsa italiana capitalizza meno del 50% del PIL, mentre in tutti gli altri paesi europei le rispettive borse valori hanno valori molti vicini al proprio PIL o superiore.
W: dobbiamo però dire che, dopo i crack bancari, ormai è chiaro a tutti che la “finanza” fa parte dell’economia reale: se le imprese vanno male e non rimborsano i finanziamenti, le banche vanno in crisi. Con le banche in crisi, i risparmiatori perdono i loro risparmi. Con le imprese in crisi, i lavoratori vanno in difficoltà e ritireranno i loro risparmi dalle banche.
E: e con le banche in crisi, non si potranno più finanziare le imprese a meno che  le imprese non raccolgano capitali in Borsa. Se la Borsa ha un valore complessivo vicino al PIL del proprio paese significa che il paese è conscio che l’economia reale e l‘economia finanziaria sono sostanzialmente la stessa cosa.
W: insomma mi stai dicendo che occorre affrontare questo problema di mancanza di cultura. A questo punto sarà compito di questi nuovi politici.
E: certamente, soprattutto in una fase congiunturale critica come quella attuale, in cui l’Italia sta uscendo da una crisi decennale, con una crescita del PIL significativa ma molto al disotto della media del resto dei paesi europei e con rischi futuri molto importanti, perché se la BCE fermerà il Quantitative Easing e rialzerà i tassi, gli oneri aggiuntivi di interessi sul nostro debito pubblico affosseranno tutti i programmi di crescita del paese.
W: e secondo te che si dovrebbe fare?
E: è necessario che questi argomenti diventino pane quotidiano e che questi nuovi soggetti emergenti si assumano anche la responsabilità non solo di capire che cos’è la “finanza”, ma che la “finanza” e l’economia reale sono facce della stessa medaglia.
W: però oggi le imprese sono più propense al dialogo con gli investitori e aperte alla Borsa, sono entrati in funzione i PIR che devono investire anche nelle PMI italiane, all’AIM si sono quotate più di 100 imprese medio piccole.
E: è vero, ma è anche vero che siamo ancora un paese – a livello di cittadini e di politici - molto arretrato su queste tematiche rispetto agli altri paese europei. Mio figlio, che è stato in una importante provincia della Lombardia si è sentito dire che le imprese di quel territorio, se vogliono andare in borsa, devono fare investimenti, in particolare investire in tasse….
W: investire in tasse?
E: sì ha capito bene, iniziare a dichiarare gli utili veri, smettere di addebitare all’impresa i costi della famiglia come barche, viaggi, gioielli e anche amanti e pagare le tasse dovute. Se un’impresa dichiara utili, la Borsa è disponibile a sostenerti, altrimenti non ci saranno mai capitali a disposizione.
W: Insomma la classe politica dovrebbe impostare politiche economiche che non solo non sommino gap di crescita di PIL a gap culturali, ma al contrario che favoriscano la diffusione di questa cultura
E: esatto occorre muoversi affinchè il malessere alla base di questa tornata elettorale diventi lezioni e stimolo per accelerare. Pensa solo ai fondi pensione e di previdenza complementare italiani, hanno portato via alle aziende il TFR e lo hanno investito o all’estero o in titoli di stato, mentre sarebbe stato il loro compito reinvestirlo nella Borsa di Milano.  Oppure all’introduzione della cd Tobin TAX, che colpisce solo i risparmiatori italiani di lungo termine. Basterebbero poche correzioni e vedresti come questo paese potrebbe diventare un vero motore dell’Europa!

martedì 30 dicembre 2014

FINANZA, IMPRESE E INVESTITORI STRANIERI
Dicembre 2014

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W: Caro Amico è la prima volta che ti vedo a leggere riviste straniere e addirittura scrivere ideogrammi. Hai imparato il cinese?

E:   Vedi, mio figlio, che come ben sai lavora in una banca a Londra, mi ha detto di prepararmi all'arrivo di tanti capitali asiatici, soprattutto cinesi.

W:   In effetti hai ragione, anche la nostra bella terra sta diventando cinese, nel Chianti già un paio di case vinicole sono state comprate da imprenditori asiatici, la casa di mode Krizia è stata venduta ad un gruppo cinese e persino la squadra del Pavia Calcio è diventata di proprietà cinese

E:   Beh, in un paese che continua ad essere in recessione da ormai quasi 7 anni, mi sembra logico che molti pezzi pregiati del paese vengano acquistati da stranieri.

W:  Ma in Italia ci sono ancora tanti imprenditori nostrani e tanto risparmio generato nel tempo da poter risalire la china, e perché secondo te non succede?

E:   Forse una volta, ma oggi gli imprenditori sono scoraggiati: lo stato è diventato oppressivo, le banche si nascondono dietro i rating perchè non sanno più far credito, gli stessi risparmiatori non investono più in borsa e preferiscono i rendimenti ridicoli dei titoli di stato. Ti pare che un paese come il nostro abbia visto nei primi 9 mesi del 2014 solo 4 IPO al MTA e solo 18 IPO all'AIM, numeri che a Londra si sono raggiunti un trimestre?

W:  In effetti hai ragione e, anche se non mi piace citare casi concreti, abbiamo anche l'esempio di Rottapharm, società che doveva essere quotata a Giugno 2014 ma che, a causa della freddezza degli investitori istituzionali per il valore considerato eccessivo - si è ritirata dal processo di quotazione, ma che poi è stata venduta ad un industriale estero ad un prezzo più elevato, a conferma del fatto che gli investitori italiani non vogliono realmente investire e che dall’estero arrivano molti capitali a comprare le buone imprese italiane a valori molto alti.

E:    Su questo esempio però sono perplesso, anche sulla base delle opinioni raccolte da mio figlio. Il prezzo non era elevato, ma sostanzialmente in linea con il valore di quotazione.

W:   Beh, il dato ufficiale era che il valore delle azioni di Rottapharm era nell’ambito di una forchetta compresa fra 1,5 e 1,8 miliardi di Euro, mentre il gruppo che poi ha comprato la società ha pagato 2,3 miliardi di Euro.

E:   Amico mio, questo è quanto appare, ma occorre guardare in profondità: intanto gli acquirenti hanno pagato un premio di maggioranza, cosa che invece non poteva essere pagato dagli investitori finanziari; tieni conto che, i “soloni” del pensiero economico indicano in un 15% il in più il valore del premio di maggioranza; se consideri questo, il valore sale ad una forchetta tra 1,7 e 2,1 miliardi di Euro; inoltre, devi tener conto dei pagamenti: infatti la quota pagata subito è pari a 1,6 miliardi, mentre un’ulteriore quota – pari a 275 milioni - sarà pagata in denaro nel 2017; infine gli ultimi 375 milioni saranno pagati in azioni dell’acquirente. È evidente che la quota in denaro pagata nel 2017 assomiglia più ad un dividendo che ad un prezzo. Infine gli acquirenti restituiscono alla famiglia l'attività di Ricerca & Sviluppo definite “Rottapharm Biotech”.

W:  Questo mi sembra una gran cosa, poter mantenere nel nostro paese un centro di R&S anziché veder trasferito all'estero il know-how nazionale impoverendo le capacità intellettuali del paese.

E:    Attento, caro amico: le attività di R&S sono il cuore delle società farmaceutiche, e senza di esse le imprese diventano dei semplici stabilimenti produttivi sempre dipendenti dal prezzo di fabbricazione. In USA le imprese farmaceutiche hanno valore quasi esclusivamente per i brevetti e per le attività di R&S in corso, e il fatto che un'impresa farmaceutica compri un'altra rispedendo indietro ai soci il reparto R&S significa che quel reparto non solo non valeva niente, ma aveva in realtà un valore negativo, e che le risorse finanziarie che avrebbero dovuto essere dedicate a tale attività non erano considerate ben investite. Se sommi, la restituzione del reparto R&S ad un pagamento parzialmente per contanti e di cui una parte pagata fra 3 anni, vedi che la differenza rispetto al prezzo di borsa non era poi troppo diversa.

W:  Il mondo è sempre più complicato e difficile da capire, in pratica mi dici che in questo caso i soci hanno fatto un pessimo affare?

E:    Al contrario, i soci hanno massimizzato il loro obiettivo, perché hanno ottenuto denaro contante; è la nazione che ci perde, perchè una qualsiasi azienda il cui valore è dato dalle proprietà intellettuali e che viene venduta ad acquirenti esteri, nel medio termine trasferisce tale valore all'estero e il paese rimane un semplice stabilimento produttivo: rimangono le braccia, ma il cervello è emigrato.

W:   Però il paese è diventato più ricco, pensa ai capitali che sono arrivati in Italia.

E:   Intanto sono finiti in buona parte a rimborsare le banche, quindi capitali sottratti all’economia d’impresa e destinati ad una finanza improduttiva; ricorda che Rottapharm era una società gravata da un pesante indebitamento. Poi non è detto che questi capitali rimangano in Italia, infine, essendo ormai la famiglia di seconda generazione, molto probabilmente saranno utilizzati per le necessità ed i capricci famigliari, perchè in Italia normalmente, quando la famiglia vende l'impresa, poi non investe più nell'industria ma diventa finanziere.

W:   In pratica mi dici che aver rimborsato le banche e che la famiglia avrà tanti capitali disponibili è peggio che avere tanti debiti con le banche e una famiglia che ha un solo investimento nel  quale è concentrata tutta la propria ricchezza?

E:   Questo sicuramente no, però di fronte all’alternativa se continuare o se monetizzare, hanno scelto il denaro: pensa invece  a quegli imprenditori che sono da sempre focalizzati sulla loro impresa, pensa alla famiglia Prada, al duo Dolce & Gabbana, alla famiglia Ferrero, a Caprotti di Esselunga, tutti imprenditori che sono da sempre concentrati sulla loro azienda, che non hanno mai distolto l'attenzione della crescita dell'impresa e che sono pertanto diventati dei colossi e in alcuni casi delle vere multinazionali.

W:  Peraltro D&G sono stati tanto attaccati dallo stato e persino insultati dal comune di Milano in modo così pesante che solo imprenditori innamorati della propria impresa come loro non hanno gettato la spugna.

E:  Ecco amico mio, hai individuato uno dei principali cromosomi del DNA dell'imprenditore italiano, l'innamoramento per il proprio lavoro e per la propria impresa e la caparbia volontà di farla crescere anche a dispetto di un ambiente ostile.

W:  Però da quanto mi dici è un DNA che si sta estinguendo, se è vero che dobbiamo prepararci ad un'invasione dall'Asia di nuovi capitali ed imprenditori.

E:   Amico mio, ogni anno che passa ci troviamo a guardare i campi che puntualmente danno raccolti abbondanti, e ogni anno ci diciamo che gli imprenditori si piegano ma non si spezzano, ma purtroppo l'ambiente in cui i nostri imprenditori operano è diventato oggi così ostile che il seme dell'imprenditorialità magari attecchisce, ma poi non cresce.

W.:  La sfiducia sempre maggiore che traspare dai tuoi ragionamenti mi inducono a pensare che da questa crisi il nostro bel paese ne uscirà molto male.

E.:   Se noti dalle tante IPO piccole e dalle poche IPO grandi di quest’anno 2014, ho grande sfiducia delle capacità delle grandi imprese e dei loro grandi imprenditori a fronteggiare questa crisi, ma le imprese piccole sono vive ed in grande fermento, e probabilmente hanno avviato una mutazione genetica che non siamo ancora in grado di capire. Ma se il trend delle IPO all’AIM continuerà così anche nei prossimi anni, allora l’Italia avrà trovato un suo modo originale di far convivere grandi imprese straniere con tanti imprenditori medi che – a dispetto delle dimensioni - si sapranno imporre efficacemente sui mercati globali.

W.: Insomma, il terreno non è più fertile come nel secolo scorso, anzi è inquinato, ma nei semi è avvenuta un’evoluzione dei codici genetici.

E.:  Esatto amico mio, sono convinto che il prossimo anno ne vedremo tante di novità e di situazioni          strane, perché l’imprenditorialità è come il seme della vita, sempre pronto a riprendersi!

mercoledì 30 luglio 2014

IMPRESE, BANCHE, PRIVATE EQUITY E BORSA
Luglio 2014

(dialogo fra Wladimiro ed Estragon al Caffè Centrale di Piazza Maggiore in un paese di Provincia)

W:  Caro amico, come mai stai mettendo in modo ordinato le carte su un tavolino del bar, e come mai hai messo tante carte sparpagliate su un altro tavolino di fianco, tu che a carte non hai mai giocato?

E.:   Questo gioco si chiama “rubamazzetto bancario” e mi serve per farti capire con le carte quello che mio figlio mi ha raccontato ieri sera. Adesso che lavora a Londra per una banca internazionale che opera molto anche in Italia, ha una visione che noi spesso non riusciamo ad avere sulle dinamiche finanziarie del nostro paese, delle banche, dei fondi di private equity e della borsa.  

W.: La gente comune dice che la finanza è un mondo di biscazzieri, ma se parli con i banchieri in questo modo, ti rispondono con pistolotti di ore sull’etica dell’istituzione bancaria, su come i fondi di private equity hanno creato valore per l’Italia, etc etc. Ma illustrami il tuo pensiero.

E.:   Ora ti spiego: il tavolino con le carte ordinate è il mondo del private equity; le carte blu scoperte sono i gestori dei fondi di private equity, i mazzetti delle carte rosse coperte vicino ad ogni carta blu scoperta sono i soldi che ogni gestore ha raccolto. In realtà, almeno in Italia che è banco-centrica, sono le banche che creano il mercato del private equity. Il valore della carta scoperta corrisponde alla capacità del gestore di far moltiplicare i soldi che riceve in gestione: un re è molto bravo, un 2 è scarso, a meno che non sia di “briscola”. 

W.: Sì, ma che c’entra con i soldi?

E.:   I soldi che i gestori dei fondi di private equity ricevono provengono generalmente dalle banche; quindi sono in parte loro capitale, in parte sono denari dei depositanti, in parte di clienti della banca che investono in modo diretto nel fondo, proprio in quanto la banca è un investitore. Molte volte è la banca che li convince consigliando loro di investire lo stesso importo che investe la banca stessa. Quindi, se c’è un mazzetto di 4 carte rosse coperte, significa che la banca ha messo 1 carta dei propri capitali, 2 carte sono i soldi raccolti dai risparmiatori e 1 carta sono investitori istituzionali che si sono convinti dell’affare.

W.: E l’altro tavolino con le carte rosse e blu sparpagliate?

E.:  Quello rappresenta il mercato dei capitali, cioè la borsa, dove il mondo è fluido e dove i gestori, che sono diventati indipendenti dalle banche, operano in concorrenza non solo tra loro ma anche con i privati e dove il denaro corre in modo anche irrazionale; ecco il perché delle carte – tutte coperte – e sparpagliate.

W.: Spiegami allora come funziona il “rubamazzetto” con il mondo ordinato rispetto e con quello disordinato.

E.:  Amico mio, il mondo della borsa sembra disordinato, ma è come l’acqua, si livella in modo preciso dappertutto. L’altro, invece, è come un insieme di mucchi di neve: in alcune parti sono più alti,  in altre sono più bassi, ma sempre neve è.

W.:  Ti capisco poco, ma spiegami meglio queste differenze.

E.:   Fino a qualche anno fa, molti gestori di private equity compravano aziende su indicazione delle banche investitrici. L’acquisto era sempre finanziato con indebitamenti rilevanti, che venivano concessi sempre dalle stesse banche investitrici. I managers spremevano le aziende per consentire i rimborsi degli enormi debiti contratti. Appena si poteva far vedere che i rimborsi iniziavano, il gestore cedeva l’azienda ad una altro fondo di private equity diretto da un altro gestore che chiedeva alle banche – loro consulenti e investitrici nel fondo – altri finanziamenti ancora più alti. Quindi le carte coperte del gestore “5 di Quadri” venivano passate al gestore “7 di Cuori”.

W.: Mio caro amico, ma questo è noto: in Italia i fondi di private equity si sono scambiati le figurine per molto tempo comprandosi e ricomprandosi le stesse aziende per valori sempre più alti e per aziende sempre più spremute al punto da non essere più in grado, in qualche caso, di fare gli investimenti minimi di manutenzione.

E.:   E’ verissimo, ma siccome non sono figurine, ma tanto denaro, occorre capire bene cosa è successo: le carte coperte che passano da un gestore dall’altro sono in parte rimaste sul tavolo, in parte sono state riprese dal mazziere, che ha appunto rubato il mazzetto. In questo tavolo il mazziere è il sistema bancario che per anni si è arricchito facendo moltiplicare le carte e ritirando solo quelle relative al proprio profitto. Poiché le banche sono investitori degli stessi fondi ai quali fanno anche sia da advisor, sia da finanziatore, alla fine sono i banchieri che decidono come, quando e quante carte spostare da un gestore di un fondo ad un altro e quando rubare il mazzetto. 

W.: E con questo mi confermi che l’Italia è un paese che, nonostante si parli di Borsa, AIM, arrivo di nuovi investitori stranieri, è sempre nelle mani del sistema bancario.

E.:   La situazione dal 2008 ha iniziato a cambiare, ma ci vorrà ancora molto tempo.

W.: Certo, volendo seguire il tuo discorso, nel famoso “Settembre Rosso” del 2008, una gamba del tavolo si è rotta e molte carte sono scivolate per terra.

E.:  Caro amico, hai colto al volo la mia parafrasi! Esatto, con il crack della Lehman, le banche hanno iniziato a non fidarsi più l’una dell’altra, è come se, appunto come dici tu, si fosse rotta una gamba del tavolo e le carte fossero cadute.

W.: Ma perché mi dici che ci vorrà ancora molto tempo?

E.:  Per vari motivi. Tieni conto che, grazie alla Banca Centrale, il tavolino è stato riparato, ma la mentalità è rimasta. Infatti avendo meno carte sul tavolino riparato, le banche hanno pensato bene di prendere un po’ di carte dal tavolino con le carte sparpagliate, cioè dal mercato borsistico per rifarsi dei mazzetti caduti per terra.

W.: Quindi mi dici che il sistema bancario utilizza il denaro dei risparmiatori per rientrare dei propri investimenti?

E.:  Certamente, basta analizzare assieme le nuove quotazioni in Borsa ai segmenti MTA e STAR: tra gennaio 2013 e luglio 2014 sono state quotate 6 società in tutto; di queste, 4 avevano come azionisti di maggioranza fondi di private equity e una quinta società è una SGR che una banca italiana ha quotato per migliorare i suoi ratios patrimoniali. Considera che sono sempre le stesse banche che sono sia investitrici dei fondi di private equity azionisti delle società quotande, sia advisors del processo di quotazione sia, infine finanziatrici dei “leverage” creati inizialmente; quindi puoi ben capire che le banche hanno potuto prendere i mazzetti sparpagliati e portarseli via, e anche in questo caso vale la regola che “il banco vince sempre”!

W.: Indubbiamente hai una visione molto cruda del sistema. Ma perché dici che il sistema sta cambiando anche se molto lentamente?

E.:  Mio caro amico, il tavolino con le carte sparpagliate, che è il vero mercato dei capitali, è difficilmente controllabile, ci sono molti operatori che investono solo se vedono il profitto. Infatti, delle 6 società solo 3 sono sopra il prezzo di collocamento e 1 di queste, dicono fonti di mercato è stata tenuta in alto dalle banche del consorzio di collocamento. Questa situazione ha fatto sì che molti investitori di Borsa hanno iniziato a guardare le quotazioni di società controllate dai fondi di private equity come delle “fregature” e non vogliono farsi rubare i mazzetti.

W.: Quindi, secondo il tuo ragionamento, gli investitori di Borsa sono diventati molto diffidenti rispetto alle quotazioni di aziende partecipate da fondi di private equity.

E.:   Infatti, altre 2 società dovevano essere quotate nel mese di luglio 2014 in cui gli azionisti di riferimento erano fondi di private equity; tali società avevano debiti finanziari ingenti che sarebbero stati rimborsati con il denaro derivante dalla quotazione, ma i gestori non hanno apprezzato le operazioni e le società sono state – come si dice in gergo – “ritirate dal mercato”.

W.: Quindi questo atteggiamento dei mercati borsistici dovrebbe servire anche per modificare un comportamento poco etico delle banche?

E.:   Probabilmente sì, anche perché il rubamazzetto non è salutare per l’Italia. Pensa a quanti soldi sono stati prestati ai fondi per comprare aziende con “leverage buy-out” enormi il cui rimborso toglie ossigeno alla crescita. E non solo le imprese indebitate non sono cresciute, ma le banche hanno distolto denaro al finanziamento delle imprese sane per consentire loro di migliorare e svilupparsi, quindi con un danno doppio per il paese.

W.: Capisco quello che dici, e sono convinto che questo comportamento ha ingenerato tante emulazioni da parte di tanti “2 di picche non di briscola”, cioè da parte di gestori non professionali e poi dal rubamazzetto si è passato ai giochi d’azzardo, altrimenti non si spiegherebbero così tante crisi industriali.

E.:  Ecco amico mio, hai perfettamente capito cosa volevo dire. Ma tieni conto che mentre da Gennaio 2013 a Luglio 2014 si sono quotate 6 grandi aziende, all’AIM invece se ne sono quotate oltre 20; inoltre i capitali raccolti sono stati in maggioranza destinati allo sviluppo, perché pochissime sono state le azioni poste in vendite dai soci, anche perché non c’erano tra i soci fondi di private equity.

W.: Se però dobbiamo attenerci alle statistiche, le quotazioni all’AIM non hanno ancora dato soddisfazioni ai risparmiatori, la maggior parte delle azioni sono vicine o sotto il prezzo di quotazione. 

 E.: Hai ragione, certo, ma sono comunque soldi che sono stati destinati allo sviluppo e non al rimborso delle banche, quindi servono fare crescere piccole imprese i cui risultati si potranno vedere solo nel medio termine.  In pratica sono dei “jolly” che potrebbero al momento giusto trasformarsi in Assi di Denari!